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RUSS MEYERA RUSS MEYER,

GRAZIE DI TUTTO (NON SOLO PER LE TETTE!)

 

RUSS MEYERSabato 18 settembre, in seguito all’aggravarsi di una polmonite, si è spento un vecchietto di 82 anni che rispondeva al nome di Russ Meyer. A comunicarlo con qualche giorno di ritardo è stata Janice Cowart, portavoce della casa di produzione RM Films International Inc. dallo stesso Meyer Fondata. Russ Meyer, troppo sbrigativamente liquidato come regista di serie Z o soft-porn, è stato in realtà un geniale folle cui il tempo futuro senz’altro restituirà i meriti che il tempo passato ottusamente ha negato.

Nato nel 1922 ad Oakland (California), Russ Meyer si distinguerà nel corso della propria vita come una delle personalità più originale e provocatoria del panorama culturale americano. A venti anni è stato cineoperatore durante la seconda guerra mondiale, dopo la guerra divenne fotografo professionista e collaboratore di Playboy (nel 1955 realizzò il primo centerfold della rivista, Eve Miss-giugno nel 1955 divenne poco dopo sua moglie), nel ‘59 realizzò il suo primo film: The immoral Mr. Teas, prodotto da Pete De Cenzie l’opera fu accusata d’essere pornografica ma, con buona pace dei benpensanti, incassò sessanta volte i costi di produzione. Da qui in poi la carriera di quello che potremmo definire il Larry Flint della celluloide sarà costellata da una serie di cult-movie che, oltre allo scandalo, diverranno fonte d’ispirazione formale per gran parte dei registi futuri. A partire dai film del cosiddetto periodo “bianco e nero gotico”: Lorna (1964) splendido melodramma malato, passando per Mudhoney (1965) e Motorpsycho (1965) da cui derivano i nomi di due famose rock-band degli anni ’90, fino ad arrivare a Faster, pussycat, kill! Kill! (1965) da molti considerato il suo capolavoro, Meyer palesa la sua poetica fatta di erotismo, azione, ironia e innovative soluzioni registiche. Tutto il suo cinema ruota attorno alle forme giunoniche delle sue protagoniste femminili, donne dalla fisicità dirompente e dalle “tette” enormi, “Io giro film di tette” (dichiarò Meyer in un’intervista) ed amava realizzarli nei deserti californiani dove le dune del posto gli ricordavano i seni delle donne, film di tette in mezzo alle tette. Ma il re dei sexploitation solo ad uno sguardo superficiale può RUSS MEYERrisultare banalmente erotico o peggio sessista e misogino. Il suo cinema puzza di traumi, dai lager nazisti fotografati durante la seconda guerra mondiale, all’omicidio di J.F. Kennnedy, allo scuotimento emotivo dovuto alla guerra in Vietnam. In tal senso il suo universo femminile (apprezzato anche dalle più illuminate femministe) fatto di donne perentorie, “cattive” e dominatrici, altro non è che la proiezione simbolica di un mondo ribaltato, di una società che da “fallocentrica”, e responsabile di molti mali, diviene attraverso la “rivoluzione” dei sensi “tettocentrica”. Tutto questo nell’utopica (per gli altri) posizione di chi la libertà d’espressione l’ha cercata e trovata: produceva, scriveva, dirigeva, fotografava e montava tutti i suoi film.

   La sua filmografia comprende, sul finire dei ’60 e nel decennio dei ’70, opere sempre più estreme, sempre più porno, ma anche e soprattutto, più fumettistiche, pop e pulp, come Mondo Topless (1966), Vixen (1968) Beyond the valley of the dolls (1970), Supervixen (1975), Up! (1976) e Beneath the valley of the ultravixens (1979). Opere in cui il numero d’invenzioni narrative-formali rasenta l’infinito: soggettive impensabili, un uso spregiudicato dell’oggettistica di scena, corpi sfatti e sfatati inquadrati con devozione analitica e una perfetta simbiosi tra musiche e immagini mai raggiunta da nessun altro, salvo il binomio Leone-Morricone e Quentin Tarantino (non a caso sfrenato estimatore di Russ Meyer).

   John Landis, suo figlioccio e sincero ammiratore, lo chiamò nel 1987 per interpretare una parte nel film Amazon women on the moon diretto da Joe Dante e Carl Gottielb. Qualche anno prima lo stesso Landis aveva chiamato a recitare in The Blues brothers l’attore feticcio di Russ Meyer: Charles Napier, RUSS MEYERalla stregua peraltro di Fernando di Leo (ultimamente sdoganato dalla retrospettiva sul “trash” anni ’70 del cinema italiano alla 61esima mostra del cinema di Venezia) che Napier fece recitare nel film Cop target del 1989.

   Ammiratori ed adepti di questo splendido predicatore-laico sui sensi di colpa dell’umanità che amava Fellini e il neorealismo italiano non mancano, a voi lettori di Blackmailmag il compito di scoprirlo o ripercorrerlo nella consapevolezza che la bigotta Italia (a parte qualche rara eccezione: Fuori orario e l’Espresso che in passato pubblicò i suoi film in vhs) non gli ha mai concesso lo spazio dovuto (nel Mereghetti del 1998 nessun film di Meyer era menzionato!!!!!). Addio “sporco” Maestro.

 

Davide Catallo

 

Sul web: www.rmfilms.com

                http://www.clubdesmonstres.com/visionsruss.htm  

                http://www.brightlightsfilm.com/16/meyer.html