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Lontano (Loin) di Giorgio Giliberti

 

Stéphane Rideau

Regia André Téchiné

Interpreti Stéphane Rideau, Lubna Azabal, Mohamed Hamaïdi, Jack
Taylor, Gaël Morel

Sceneggiatura e dialoghi André Téchiné e Faouzi Bensaïdì

Direttore della fotografia Germain Desmoulins

Montaggio Hervé De Luze

Musica Juliette Garrigues

Produttore esecutivo e delegato Saïd Ben Saïd

Una coproduzione franco-spagnola
UCG IMAGES-CINèB-VERTIGO FILMS

Tre corpi in movimento nell’arco di tre giorni, legati in maniera simbiotica al proprio mezzo di trasporto : Serge al Tir, Said alla bicicletta, Sara al motorino. André Téchiné segue le loro peregrinazioni fisiche e sentimentali durante il tempo che intercorre tra lo sbarco di Serge a Tangeri e la sua ripartenza per l’Europa. La città marocchina, sorta di spazio-frontiera, insieme ponte e barriera, incarna pulsioni ed elementi contrapposti che, da sempre, caratterizzano i personaggi del cinema di Téchiné, incerti sul futuro e smaniosi di viversi il presente. Il desiderio di mettere radici in un luogo e l’esigenza di fuggire, l’erranza e la stasi, la passione e il rancore, gli slanci improvvisi e le attese dilatate, la morte e la nascita, il lutto e la felicità. In una situazione sociale e emotiva così precaria, essere in movimento vuol dire essere vivi. Il regista ci restituisce in maniera efficace i nomadismi dei protagonisti grazie ad un uso personale del digitale, né 'dogmatico', né austero. Téchiné bracca le sue anime inquiete, contaminando un approccio documentaristico con suggestioni da film d’avventura. Èemblematica tutta la vicenda del trasporto della partita di hashish, inserita dal regista, per sua ammissione, non per immettere dell’azione nel film, ma per caratterizzare meglio lo spaesamento del personaggio. Accade spesso anche nella realtà che i camionisti, percorrendo quella rotta si trovino ad affrontare situazioni simili.
è splendida la sequenza della perquisizione, secca ed essenziale, ma pervasa da tensione sotterranea. Serge arriva al punto di non sapere più cosa trasporta all’interno del Tir, avendo la consapevolezza, tangibile nello sguardo di Stephane Rideau, di essersi spinto troppo lontano. Si respira in questo film un’atmosfera rarefatta, sospesa, propria di chi anela a ciò che non ha, acuita dalla babele linguistica della città e da scelte stilistiche come cambiamenti di ritmo e continue digressioni, solo apparentemente casuali. Se da una parte tutto ciò ben si confà ad un mondo lontano, sognato dai tanti  marocchini che tentano di passare clandestinamente la frontiera a bordo dei camion, dall’altra rimane il rammarico per un eccesso di intellettualismo e di rigore che frena le emozioni e impedisce di sentire sempre il respiro della vita.