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SUICIDE: American supreme (Blast First/Mute)

 

SUICIDE: American supreme New York, anno 2002. Una bandiera americana sbiadita e congelata dallo scatto fotografico campeggia su uno sfondo nero. Giocano con il falso, i Suicide. Perché, a dispetto delle apparenze, questo non è un album dance. Perché c’è del sordido da mettere in musica, proprio come venticinque anni fa, ai tempi delle esibizioni al CBGB’s e di Ghost rider, Frankie teardrop e I remember. Illustri trascorsi: nei giorni del punk, due tizi vestiti di nero si presentavano sul palco armati di sintetizzatore per mettere a dura prova i nervi del pubblico inscenando performances minimali ma non meno violente di quelle di chi si rotolava sbavando ed urlando come un ossesso. Debutto omonimo nel 1977 (a detta di molti seminale, se non proprio definitivo) su Red Star, l’etichetta di Marty Thau. Primo ritorno nel biennio 1980-81 con Diamonds, fur coat, champagne (ristampato successivamente come The Second Suicide Album) ed il 12” Dream baby dream.

   Pionieri di un suono che convogliava i Velvet Underground più claustrofobici verso un nuovo millennio, oggi come allora, i Suicide sono un gesto critico ostile, il progetto di due menti infettate (Alan Vega, voce; Martin Rev, tastiere), la reazione devastante a una cultura irrancidita. Non fanno parte dello star-system, non sentono la necessità di onorare annualmente un contratto (questo nuovo disco su Blast First arriva dieci anni dopo Why be blue) ma, ogni volta che decidono di uscire allo scoperto, vale davvero la pena prestare orecchio.

   American supreme (nella prima tiratura c’è anche un bonus cd con sette brani registrati dal vivo a Londra nel 1998) è un album scolpito nella pietra gelida; un nuovo inizio messo a punto con la consapevolezza di dover dare un abito nuovo alla  poesia di Vega, a quel mosaico di parole urticanti, da visionario radicale con i piedi ben saldi per terra.

SUICIDEUn ballo dell’estinzione. Vitamine a base di funk digitale, dub e house, rap, iniezioni di techno, quindi la collaborazione con gli artisti Scott King e Matt Worley (meglio conosciuti come CRASH), firmatari del manifesto Failure contenuto all’interno del booklet, e con Jonathan de Villers, per la foto di copertina. Televised executions; Misery train; Swearin’ to the flag; Child, it’s a new world: i titoli dicono praticamente tutto (ma il migliore è Dachau, Disney, Disco). I mezzi di comunicazione di massa, l’alienazione figlia di una società che distorce emozioni e percezioni, la vita junkie, le rovine del World Trade Center e quelle della coscienza yankee, il lercio sotto una bella patina di smalto. Questi gli argomenti. Nero ma non oscuro, American supreme è lo spettacolo acre, il suono di una civiltà della Fine, e come tale mantiene intatta l’aura che aveva caratterizzato i precedenti lavori, senza suonare retrodatato. Una prova eccellente offerta da un duo che alza il dito medio all’indirizzo di chi li vorrebbe in naftalina per far spazio alle nuove leve.  

sito ufficiale: http://www.suicide.tv                                                                        (J.R.D.)