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LA MUSICA SECONDO VINCENT GALLO

di Giovanni Tempio

 

   Vincent Gallo: un nome da battaglia che sembra inventato. Nell’ambiente del cinema non passa certo per Mister Simpatia ma non è questo il punto. Attore, regista, musicista, pittore, modello per Calvin Klein in una campagna pubblicitaria di quasi dieci anni fa. Mettetegli davanti un registratore, dategli il via e lo sentirete sparare a zero (in ordine sparso) su Kusturica, Cassavetes, Madonna, Sean Penn, Nanni Moretti, Hollywood, il divismo, i produttori, le cerimonie degli Oscar, la vita sul set e compagnia bella.

   Vincent Gallo non è un personaggio dei fumetti. In un mondo di monete false, Vincent è vero e non risparmia neppure amici (Johnny Depp, compagno di sbronze e partner sul set di Arizona Dream, al quale rimprovera le ultime scelte commerciali) ed ex punti di riferimento (Harvey Keitel). Salva dal mucchio Pasolini, mica un nome qualsiasi. Tutto Pasolini, in blocco, rimpiazzando gli italiani che hanno dimenticato la forza intellettuale di PPP. Appena un gradino sotto c’è la musica. Così i media tornano a parlare di lui in occasione dell’uscita di When, album intimista pubblicato dalla Warp, etichetta nota per il suo catalogo di musica elettronica. Un disco, non un film, dunque, dopo qualche anno di silenzio. E non si tratta neppure di un capriccio da star (il caso Keanu Reeves, bassista fallito, la dice lunga sulle ambizioni frustrate delle belle facce di Hollywood). Gallo suonava la batteria nei Gray, la band newyorkese dell’artista Jean-Michel Basquiat. In Buffalo ’66, dirigeva se stesso e una convincente Christina Ricci (non si capisce perché sputi anche su di lei), qui fa praticamente tutto da solo rinunciando alla macchina da presa. Scrive e canta sofferte ballate d’amore su basi ridotte all’osso. Arrangiamenti da camera (di un motel polveroso, con la carta da parati strappata), atmosfera al neon, parole mormorate. Minimalista, direbbero i critici specializzati. Non significa una sega. Sappiamo che il ragazzo è cresciuto ascoltando roba buona: Chet Baker e Leonard Cohen, tanto per buttare lì due nomi col botto. L’amicizia con John Frusciante, il chitarrista dei Red Hot Chili Peppers  deve averlo convinto a ritornare alla sua antica passione quasi contemporaneamente all’uscita statunitense di Trouble every day, la sua prova più recente sul grande schermo (accanto a Beatrice Dalle, altra tipa pericolosa!). A noi piacerebbe rivederlo, cinque anni dopo The Funeral (da noi Fratelli), in un nuovo progetto firmato da Abel Ferrara. Oppure in un nuovo film in cui si fa in tre (attore/regista/autore della colonna sonora). Motivazione: Buffalo ’66 era un capolavoro fatto con due dollari e tante idee. Bello come un Godard  d’annata (il che non vuol dire necessariamente godardiano), fatto con cuore e stomaco. Colonna sonora autografa. Antipatico lui? Neanche per sogno.