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BLUES EXPLOSION: Damage (Mute)

 

Ieri tutti a pecora per la musica prodotta da Jon Spencer e dalla sua Blues Explosion, oggi le stroncature. Funziona così sulla carta straccia titolata, specialmente a casa nostra, nell’italietta critichina che sopravvive aggrappandosi al finto entusiasmo (in realtà è tutto pagato dalle case discografiche) per mode passeggere. Tutti a dire che il precedente Plastic fang era un disco modesto e che il nuovo Damage è anche peggio. Il dubbio che la ditta Spencer, Simins & Bauer si sia bevuta il cervello non mi sfiora neanche. Ho il disco, lo metto su, lascio partire la title-track, aspetto fino all’attacco del secondo pezzo (Burn it off) e so già di avere avuto ragione una volta di più: ogni mese, leggiamo i deliri di gente infelice, logorata dalla vita quotidiana e dal governo, clinicamente morta dentro. Personaggi che, lo dico fuori dai denti, non sarebbero degni di lucidare la punta degli stivali dell’ex Pussy Galore (nonché marito della sempre avvenente Christina Martinez).

   Abbandonata parte della ragione sociale per un più diretto Blues Explosion, la band si circonda di una schiera di ospiti eccellenti nel nuovo capitolo della sua avventura discografica: Martina Topley-Bird, David Holmes, Chuck D, James Chance e DJ Shadow. Dietro le quinte: Steve Jordan, Dan The Automator, Alan Moulder e Chris Shaw. Un impressionante squadrone d’assalto che contribuisce a contaminare con nuove sostanze l’energico rock and roll del trio. Più funk, più hip-hop, più atmosfera burlesque: prendete un brano come Rivals e ditemi se ascoltandolo non vi è parso di precipitare in un clima da strip-club del Texas con tanto di biondona popputa che vi shakera le mutande dimenando il bacino ad un palmo dal vostro naso. Prendete Help these blues e ditemi se il divino Screamin’ Jay Hawkins non si è messo a fare il diavolo a quattro in un motel da pochi dollari con la moquette rosa shocking e una bibbia del viaggiatore sul comodino. Perché la Blues Explosion è un corto circuito spazio-temporale vivente, una macchina del tempo che rapisce l’ascoltatore di questi anni per portarlo nell’era di Elvis, delle Cadillac a forma di razzo spaziale e dei capelli spalmati di gelatina. È il furore di Fed up and low down che si fa carne, sesso, motore truccato da lanciare verso il nulla con la benedizione di John Lee Hooker. Immagine dominante, fortemente erotica e bella: Rattling è un trip irreale con Dennis Hopper, Peter Fonda e Jack Nicholson, più gli Stones giovani e sfrontati nelle paludi del Mississippi. Ma Hot gossip, prima canzone esplicitamente politica dei nostri, è New York City che smaltisce i postumi dell’ 11 settembre con un sound mid-Seventies: Therès a war goin’ on now / and they’re blaming it on you and me / they talk about safety, freedom, democracy / I don’t believe ‘em e Chuck D è sempre lui, con quel vocione che fa tremare i muri portanti di un grattacielo mentre Jon Spencer adotta un timbro loureediano (in Crunchy il riferimento più diretto è invece al Lou di Vicious).

Se Plastic fang evocava fin dalla copertina una notte di Halloween con scorpacciata di pellicole dell’orrore e  icone sexy come la Luana Anders di Dementia 13, il nuovo Damage è una tempesta ormonale che sarebbe piaciuta al carissimo estinto Russ Meyer. Questa è la vibrasonica magia della Blues Explosion, il voodoo “figo” newyorkese influenzato in parti eguali dal clima di Detroit e New Orleans. Questo è il suono perfetto per accompagnare una scopata megagalattica alla fine di una corsa su un boulevard lurido e brulicante di vita notturna. Chiaro, semplice, inutile girarci intorno. Jon Spencer lo sa, io lo so, adesso anche voi siete a conoscenza della cosa. Certo, qualcuno dovrebbe prendersi l’incarico di spiegarlo anche a quegli sfigati che scrivono sulle riviste musicali.

 

(J.R.D.)