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Da Shit Body (version) un delirio di Gianni D’Attis

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Sto bene ora, non dico altro.

Per evitare voci e speculazioni sulle mie condizioni di salute voglio rendere noto che sono in partenza da Roma verso Callisto IV.

"Perché non Cazzago?" hai chiesto.

"Perché non Saarbruken o Piancastagnaio, oppure Trecate Novarese?"

Sto andando da qualche parte per mettere una certa distanza tra me e te. La fine della nostra storia di sesso e lotta estenuante per gli spazi individuali richiedeva un approccio creativo quale antidoto all’assenza di infrastrutture in quello che, nel tuo diario post-coitum, ti piaceva chiamare "Un gioco al massacro alla Pechinpah ".

Tu ed io, Amanda. Nella polvere.

Al tramonto eravamo due corpi fuori allenamento sazi di quaranta pizze dai nomi fantasiosi, ex adolescenti dalle Reebok crivellate di pallottole a San Valentino che pregano il dj di mettere un’altra volta sul piatto Dancing With Myself dei Generation X. Personaggi interamente sottomessi alla funzione referenziale.

Tirandomi faticosamente a sedere, ignorando le fitte alla testa, all’addome e al buco del culo, ho provato a darti ossigeno succhiando una fetta di cocomero davanti alle telecamere de La Vita in Diretta.

Chiari segni di ipereccitazione parasimpatica derivata dall’assunzione di pilocarpina. Il mio indice che scava nella narice destra, nell’ombra proiettata dal berretto militare con lo stemma dei Guastatori. Le tue prime parole: "Infinite cose da fare, e così poco tempo per farle."

In un altro tempo – il tempo crudele e superfluo del ricordo - guardandomi teneramente negli occhi felice e spaventata, avresti detto: "Spaccami il giosuè sul sedile posteriore di una Cinquecento del 1972."

La metafora della trasgressione ridotta al tuo sguardo allucinato di Venere strabica. Intimità negata, quando tutto è permeabile alla vista. Abbastanza carne al fuoco da far nascere un melodramma.

A quel punto sono andato via.

Vedo filari d’alberi grigi, case coloniali dal rivestimento esterno in cedro erette su strisce di sabbia ferrigna, immensi cerchi nel grano di origine sconosciuta, fienili abbandonati da amanti contadini, cassonetti verdi, metallizzati, blu, cani di pelouche decapitati in un canale di scolo, insetti che si avvitano e si schiantano senza un urlo contro le lenti degli occhiali da sole Emporio Armani.

E desiderio di ricollocarsi in un mondo profondamente cambiato, più complesso, imprevedibile e incerto.

E colpi di luce brillanti e multisfaccettati che finiscono tra le fauci di un glorioso immaginario.

E incremento del business di rimedi naturali e integratori vitaminici.

E utopie che si indossano.

E...

Stelle morte. Se dovessi dare un titolo alla mia fuga, la chiamerei: Corsa Tra Stelle Morte.

Cosa è successo ai tuoi eroi?

Esiste un posto nel quale vagare aspettando una sorpresa dietro ogni angolo?

L’azione si apre con uno zoom all’indietro che mi scopre in sella ad una Triumph Daytona 955i rubata da un servizio di Richard Kern per la rivista Equus Eroticus. Nera la moto, nero io. Un illusionista. Per te, Amanda, semplicemente un soggetto incapace di distinguere i prodotti della propria immaginazione dalla realtà obiettiva. Un mentecatto che si è puntualmente servito di trucchi da due soldi per i suoi numeri. Spettacolari, a volte. Ingegnosi, ma pur sempre trucchi. Il tuo Houdini della porta accanto si è fatto incidere un cuore fiammeggiante sul deltoide sinistro. Dentro questo cuore, in caratteri Baskerville Old Face c’è scritto:

TELEFONA E VINCI I MONDIALI FIFA

Ricorda: molti illusionisti hanno tentato di copiare Houdini; nessuno però ha affascinato il pubblico come l’originale attraverso una condotta intellettuale rappresentata da una coscienza del mondo relativamente sfumata.

Sto pensando al tuo gioco preferito: mettermi nudo in un orologio da parete e costringermi a confessare nei minimi dettagli le esperienze sessuali avute con bellezze alla Jayne Mansfield sparse per il sistema solare. Escort in gonna a balze con appliques di sale e caglio, sensori sulle zampe per captare suoni e vibrazioni e il movimento della preda sulla ragnatela, 8000 recettori chimici con i quali assaporare l’ambiente.

Loretta: "Mi piace andare a pattinare e fare lo shopping e seguo dei corsi di danza e recitazione e voglio diventare famosa perché se faccio una cosa mi piace farla bene e non a metà."

Aurora: "I always know where I am, and make it to my own bed, thank God."

Luana: "Fast-food e commedie sentimentali. Adoro gli attori con le facce da cazzo."

Nikki: "Karate, shopping, ballo, sesso in luoghi affollati. Che la gente faccia meccanicamente o manualmente ciò che vuole."

Le uccideremo tutte. Le abbiamo già uccise usando un boomerang ninja, sacchi di detergente per piscine e vino bianco allungato con seltz.

Pin-ups conosciute biblicamente lavorando per il mercato potenziale del sovraccarico emotivo. Per te, Amanda, ero un uomo del governo, uno spirito ironico e un po’ situazionista che aveva cominciato a fare graffiti molto giovane. Servizio Riscossioni Etiche: un campo altamente competitivo in cui una brillante carriera può finire nel cesso per mancanza di fiato o dei più elementari rudimenti della vita totalmente gabber.

La valigetta in finta pelle di daino. Acqua di colonia da due soldi. Piede di porco ben nascosto nella giacca sformata. Carte di credito false. Fede al mignolo. Vanagloria e sigarette senza filtro e immagini conservate come impronte nella cera molle. Il manuale parla chiaro.

Nomi di copertura: Dieter Solvay; John Excell; Paolo De Vito; Riviero Vuilliermoz; Ivan Molinar; Pippa Steele; Luis Aguirre; ‘O Tatone; Carmelo Sblendorio.

Quando ci presentarono, ero Dino Granata in vestaglia di piume azzurre e calzoni di tela arrotolati fino al polpaccio, più lunghi su una gamba che sull’altra. Improvvisavo il ruolo di un ubriaco di passaggio occupato a squadrarti con occhio lubrico.

"È vero che non c’è niente tra te e me?" chiesi.

"Fino alla prima nevicata d’agosto" rispose la tua macchina analitica.

"Quand’è così, non perdo più tempo."

Venti secondi più tardi, ci unimmo in matrimonio davanti ad un prete dal sorriso ampio e costante, uno di quelli che alzano l’audience domenicale di una tele privata parlando dello Spirito della Dipendenza venuto a distruggere l’Uomo Spirituale.

Notte. 200 km/h. Deserto. Un po’ dei tuoi capelli, recisi e applicati al casco. Oltre il rombo del motore c’è Head On dei Jesus & Mary Chain eseguita sotto la doccia dalla cantante lirica Hongmei Nié.

Pioggia e spruzzi rotolano via come biglie senza fermarsi sulla mia camicia sottoposta ad un bombardamento al plasma per staccare atomi di idrogeno dalle molecole superficiali. La pioggia non riesce a bagnare il tessuto ma contro le lacrime, lo sai, c’è poco da fare.

Hai scritto: "Potere dell’esasperazione, la mia espressione inizia dal contorno degli occhi."

E: "Non hai mai capito il mio moderato autismo contro l’overdose di attenzioni che chiamiamo consuetudine."

Rêverie.

Tutto è reversibile.

Se avessi trovato il coraggio di dirti la verità, mi avresti lasciato entrare nelle tue mutandine un’ultima volta?