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VANESSA BEECROFT: LA DONNA CHE CADDE SULLA TERRA

 

VANESSA BEECROFT«Lascio che la componente aleatoria di una performance crei momenti non previsti, non perché io ami il caos, ma perché non lo posso evitare.»

(Vanessa Beecroft. Performances 1993-2003, catalogo della mostra, Skira, Milano, 2003, pag. 183.)

 

Il caos: impossibile evitarlo. Dalle patologie del corpo nascoste negli anfratti del quotidiano o spettacolarizzate dalla moda, dal fascino oscuro delle uniformi militari, Vanessa Beecroft è passata allo studio dei cicli vitali: crescita, formazione e invecchiamento, attraverso la collazione di tableaux vivants con gruppi eterogenei di donne colte in età e atteggiamenti diversi.

   21 entità “cadute sulla Terra” (Dea Madre, forza creatrice e trasformatrice, la stessa artista appare in stato di gravidanza avanzata), professioniste o donne comuni, dall’incarnato diafano o scure di pelle, dalle chiome fluenti alla Maddalena o quasi calve (effetto ottenuto facendo indossare cuffie che nascondono completamente i capelli). Nudità  del femminile in natura e nudità dell’icona: la carne e gli accessori, le scarpe (disegnate dallo stilista austriaco Helmut Lang) con lacci alla caviglia e tacchi che affondano nella viva terra di campo.

   VB53: un gruppo di grandi fotografie e il video dell’omonima performance realizzati nel 2004 al Tepidarium del Giardino dell'Orticultura di Firenze (la più grande serra ottocentesca d’Italia, opera dell’architetto inglese Giacomo Roster) sotto l’egida della Fondazione Pitti Immagine Discovery.

   L’impianto scenografico è rigoroso e solenne. Le modelle, dapprima immortalate in posizione eretta e raccolte in un gruppo unico (sorta di cerchio magico che risulta allo stesso tempo fuori e dentro di sé), si isolano e si lasciano progressivamente cadere al suolo diventandone parte come in una cerimonia tribale, un atto di ricongiunzione con il mondo del sensibile, la fonte originaria. Infinitamente attratte. Indissolubilmente legate – sciolto ogni legame con l’altro da sé -  come per un ancestrale incantesimo.

   Vengono in mente tanto i bellissimi versi di Baudelaire in Ciel brouillé: “Tu ressembles parfois à ces beaux horizons / Qu’allument les soleils des brumeuses saisons…“ quanto le osservazioni di Paul Virilio nel saggio La Macchina che vede (SugarCo, Milano, 1989, p.130): “L’immagine fàtica che si impone all’attenzione e trattiene lo sguardo non è più un’immagine potente ma un cliché che cerca, alla stessa stregua del fotogramma cinematografico, di inscriversi in uno svolgimento temporale in cui ormai l’ottica e la cinematica si confondono.“

   Enigmatico il rapporto che si instaura con lo sguardo estraneo, con lo spettatore-voyeur, ospite anonimo VANESSA BEECROFT Vb-53spiazzato da un effetto di resistenza dell’insieme: arbitrarietà del feticcio che non rappresenta e non duplica nessuna cosa provocando disorientamento percettivo e rivendicando capricciosamente una propria autonomia. Negazione seducente che lambisce il concetto stesso di esistenza nel momento in cui si configura come soglia di una dimensione differente.

  «Non parlate, non interagite con gli altri, non bisbigliate, non ridete, non muovetevi teatralmente, siate semplici, siate naturali, siate distaccate, siate classiche, siate inapprocciabilI (…)» (in Vanessa Beecroft. Performances 1993-2003, op. cit.).

   Se il discorso si sposta sul piano della ricerca identitaria, vale ancora quanto rilasciato a Laura Stefani nel corso di un’intervista apparsa sulla rivista Flair nell’ottobre 2003: «Il riferimento autobiografico è il modo più diretto e spontaneo che ho a disposizione per creare, uso me stessa come esempio per un discorso che, una volta trasferito sul piano artistico, riesce a diventare universale».

   Chiarissimi i rimandi/omaggi ai dipinti di Botticelli e di Filippino Lippi. Il Quattrocento dell’arte italiana (periodo di riscoperta della rappresentazione del paesaggio, di una superficie fisica come preparazione della superficie metafisica) catapultato nel nuovo millennio.

   «La terra è un riferimento alla land art», ha dichiarato Vanessa, nata a Genova nel 1969, da madre italiana e padre inglese. Studi di pittura all'Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova e scenografia presso l'Accademia Belle Arti di Brera. Prima performance: il Libro del cibo (1985-1993), un video vhs basato sulla lista di ogni cibo ingerito dall’artista in otto anni a testimonianza di una lotta personale contro l'anoressia. Seguono le esposizioni nei più importanti musei del pianeta: il Guggenheim di New York (1998) e la Kunsthalle di Vienna (2000); le partecipazioni alla Biennale di Venezia (1997, 2001) e alle Biennali del Whitney Museum of American Art, di Sidney e di San Paolo (2002). Tra le mostre ed esposizioni, meritano menzione 'Winter of Love' (Long Island NY,1994), 'Everything that's Interesting is New: The Dakis Joannou Collection' (Atene, 1996), 'Traffic' (Bordeaux, 1996), 'Persona' (Chicago, 1996), 'Fatto in Italia/Made in Italy’ (Ginevra e Londra, 1997), 'Truce: Echoes of Art in Age of Endless Conclusions' (Santa Fe, 1997) e 'Wounds, Between Democracy and Redemption in Contemporary Art' (Stoccolma, 1998).

   Più discutibili le “americanate” di VB 42 (2000), messa in scena dopo un lungo iter di burocrazia militare utilizzando soldati ed ufficiali dei corpi speciali della Navy statunitense e VB GDW (2000), attuata a Portofino durante il matrimonio della Beecroft con Greg Durkin: qui il glamour entra nel territorio della boutique barocca, diventa pura pacchianeria mediatica modello Jeff Koons VANESSA BEECROFT Vb-53spargendo in giro un odore pungente di (auto)agiografia ai confini del divismo.

   Molto meglio VB 48, esibizione datata 2001 al Palazzo Ducale di Genova, con performers somiglianti a clandestine nigeriane viste nella città ligure; VB 51 (2002), al Castello di Vinsebeck in Germania che vedeva la partecipazione delle attrici tedesche Hanna Schygulla e Irm Hermann, infine lo splendido Sister Project (realizzato insieme allo svizzero Harald Szeemann, curatore indipendente di mostre scomparso di recente), imponente calendario di 12 stampe lunghe tre metri e mezzo ciascuna, che raffigurano i mutamenti stagionali e degli umori di una donna nell’arco di un anno.

   Il catalogo VB53 (84 pagine in brossura, formato 17x24, testi in lingua inglese di Lapo Cianchi, Maria Luisa Frisa, Francesco Bonami, Line Rosevinge) è edito da  Charta.

Nise No

 

www.vanessabeecroft.com