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		Che io sia tremendamente 
		sobrio o perfettamente ubriaco, è cosa marginale: per mia natura, non 
		escludo mai niente a priori (né a fraticelli, carmelitane scalze, etc.). 
		Ad esempio l’infelice possibilità che nel tempo, a incrinare il mio 
		rapporto con la musica dei Marlene Kuntz, con i testi e la voce di 
		Cristiano Godano, molto peso abbiano avuto le schiere di figli spuri 
		della band cuneese: gruppetti molesti che scimmiottavano lo spleen dei 
		Kuntz chiedendo visibilità, contratti discografici, recensioni, fighe 
		depilate in camerino. Legioni di Godani fuori e ben poco dentro: ciuffo 
		corvino sull’occhio, broncio renitente, Fender a tracolla e come testi 
		aborti di calembours più demenziali che maledetti. 
		
		   Come se bastasse una 
		gobba per dare a un fesso qualsiasi il genio di Leopardi (o di Andreotti); 
		un tocco di fumo e un fiasco di Olevano Romano per trasformare Pinco 
		Pallino in Charles Baudelaire; un 
		paio di tette braccate dai paparazzi per farvi avere una parte di 
		rilievo nell’ultimo film di Brian De Palma (OK, beccato: Scarlett 
		Johansson ci è riuscita!). 
		
		   Il punto è che i 
		Marlene Kuntz sono quelli che a metà decennio ‘90 debuttarono con 
		Catartica, il disco di Nuotando 
		nell’aria. I Marlene Kuntz sono quelli che 
		malediranno/benediranno a vita il momento di felice ispirazione che li 
		portò a scrivere l’immensa Nuotando nell’aria, canzone d’amore 
		che dava voce ai dolori amorosi di molti. Una canzone dolente. Una 
		canzone tremante. Una canzone ardente. E sono anche quelli che hanno 
		appena dato alle stampe un documento live che contiene una nuova 
		versione di Nuotando nell’aria. Ecco cosa mi ha fregato: 
		“E non è facile / dovresti 
		credermi / sentirti qui con me / perché tu non ci sei...” 
		Cioè: puoi anche essere 
		una testa di cazzo che rende la vita impossibile ai vicini con i dischi 
		dei Motörhead sparati a volume da denuncia, puoi aver sputato sulle 
		tombe dei fans dei Baustelle, puoi fare il duro finché ti pare con il 
		tuo padrone di casa che vorrebbe vietarti di tenere nell’appartamento 
		un’iguana sedicenne di nome Louie-Louie, ma da quando lei ti ha mollato 
		per riprendersi (finalmente) la sua vita, non riesci a fare più tuo il 
		motto “Non si può morire dentro” 
		(Gianni Bella, l’anno non me lo ricordo, però all’epoca mi sembrò una 
		dichiarazione forte, molto punk!). 
		
		   Questo disco nasce dal 
		tour omonimo, quasi acustico, che i MK hanno tenuto nel 2006 (i 
		completisti non si sottrarranno neppure all’acquisto del Dvd ricavato 
		dall’esibizione a MTV Storytellers). Al basso c’è 
		Gianni Maroccolo (sapete tutti chi è, 
		vero? O mi tocca elencarvi uno per uno i gruppi che hanno avuto l’onore 
		di averlo in formazione?); e si sente anche la sua santa mano sui nuovi 
		arrangiamenti dei 12 pezzi incisi: cose preziose (mi piacciono davvero, 
		mi sono sempre piaciute La canzone che scrivo per te e 
		Infinità). Ballate, più che altro, cioè una selezione egregia della 
		merce migliore uscita finora dai magazzini MK. Molto meglio di quando, 
		armati di stucco e gesso, fanno gli allievi deferenti dei Sonic Youth, 
		intendo. 
		
		   La band è in forma e 
		si lascia apprezzare in un album lungo 71’ e 2” che farà felici 
		anzitutto i kuntziani di sempre, poi – vabbe’ - quelli come il 
		sottoscritto, misteriosamente fermi al trittico Catartica – Il 
		Vile – Ho ucciso paranoia. 
		
		(J.R.D.) 
		
		  
		
		
		
		Sito ufficiale dei Marlene Kuntz 
		 
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