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THE STOOGES: Fun house (Rhino)

“Huh! Down on the street / With a basic shine / Floatin' around on / A real low mind / I see a pretty thing / In a wall / I see a pretty thing / In a wall...”

 

La mia adolescenza. La mia (mal)adolescenza perduta per sempre nella danza dell’Iguana James Jewel Osterberg, nato nel 1947 a Muskegon, Michigan. Un disco da mettere in cima tra quelli che ti porteresti su un’isola deserta. Una follia tra (hard) rock-blues e free jazz. Una scarica elettrica alle coronarie prima dell’arrivo della band al capolinea degli eccessi (droga e dissapori interni, come da copione: commiato ufficiale nel 1974, dopo l'ultima apparizione in febbraio al Michigan Palace conclusasi con una rissa tra la band e un gruppo di bykers del posto).

   Fun house è basilare quanto il primo dei Velvet Underground, il primo dei Doors e Never mind the bollocks dei Sex Pistols: una di quelle opere che fanno sul serio la differenza e seminano ancora oggi spermatozoi nelle sale prove di tutto il mondo.

   Fun house è l’allucinogeno finale dell’Estate dell’Amore: impossibile vedere fiori sui marciapiedi sudici quando il junkie che abbraccia il cassonetto dell’immondizia sta cantando: “Ooh, I been dirt / And I don't care / Ooh, I been dirt / And I don't care / ‘Cause I’m burning inside...”

   Fun house è un album che negli anni non è invecchiato per niente e suona tuttora come un gancio da KO metallico dopo un feroce, dionisiaco assalto di grazia primitiva. “(...) uno di quei rari dischi che non si ferma mai abbastanza a lungo da riuscire a cristallizzarsi in ciò che sembrava prima.” (Lester Bangs, Guida ragionevole al frastuono più atroce, Minimum Fax, 2005, p.92).

   Siamo all’edizione critica portatile: due cd, quattro in meno rispetto a 1970: The Complete Fun House sessions, cofanetto con 142 tracce messo fuori dalla Rhino qualche tempo fa ed oggi preda dei collezionisti (quotazioni intorno ai $ 500.00 per una limited edition tirata in 3000 copie numerate a mano). L’operazione 2005 a cura di Bill Inglot e Ben Edmonds (ex editore della rivista Creem, attualmente direttore di Mojo) riguarda anche The Stooges (1969), esordio prodotto da John Cale e non tocca giustamente Raw Power (1973) attribuito a Iggy & The Stooges, mixato da David Bowie e già sottoposto nel 1997 al restauro diretto da Iggy Pop in persona.

   Sul primo cd di Fun house versione espansa sfilano i sette pezzi originali: Down on the street; Loose; T.v. eye; Dirt; 1970; Fun house; L.A. blues. Sul secondo, quattordici schegge da quelle infuocate sessions losangeline con Don Gallucci (mitico organista dei Kingsmen) e Bryon Ross-Myring nella stanza dei bottoni degli studi Elektra Sounds. Personale: Iggy Pop (voce); Ron Asheton (chitarra); Scott Asheton (batteria); Dave Alexander (basso); Steve Mackay (sax). Inediti: Lost in the future (bellissima, fatela suonare al vostro matrimonio!) e Slide the blues (questa tenetela per la prima notte bastarda di luna di miele).

   Più che soddisfacente il lavoro sul suono: un brivido corre lungo la schiena nel riascoltare i fendenti di chitarra di Ron Asheton e soprattutto la voce di un uomo perennemente a torso nudo che, interrogato sul rock del nuovo millennio, può permettersi di osservare beffardamente: "Questi giovanotti di oggi, conoscono alla perfezione gli spartiti, ma non sanno neppure cosa significa vomitare!".   Lapidario, vero? Beh, forse Iggy salva almeno il signor Jack White, membro del duo White Stripes ed estensore di una prefazione che non si fa scrupolo di lanciare una freccia avvelenata nelle chiappe della Rock & Roll Hall of Fame, organismo colpevole di aver onorato uno come James Taylor prima degli Stooges.

 

(J.R.D.)

 

 

 

 

 Sul Web: http://home.online.no/%7Eegon/iggy.htm

              www.rhino.com