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La Bibliotheca alexandrina  di CAMILLA LAI

 

Bibliotheca alexandrina«La Bibliotheca alexandrina torna per far rivivere lo spirito di tolleranza e per condividere la conoscenza umana». Apriva così il quotidiano egiziano al Akhbar di qualche giorno fa. La nuova biblioteca alessandrina è stata ufficialmente inaugurata il 16 ottobre alla presenza del presidente egiziano Hosni Mubarak, del nostro Ciampi, di Kostis Stephanopoulos, presidente della Grecia, sulle note intonate dalle filarmoniche greca e londinese. «Una finestra sul mondo», erano state le parole che aveva scelto la madrina Suzanne Mubarak per descrivere la nuova meraviglia architettonica. E aggiungeva: «Il suo compito è gettare le basi per una nuova generazione votata al dialogo, all’apertura e alla tolleranza. Non dobbiamo permettere che la Bibliotheca diventi prigioniera delle correnti politiche». Invece nessuno se la sentì di festeggiare, lo scorso 23 aprile, mentre i carri armati israeliani avanzavano imperterriti su Gaza e alzavano zero su Jenin. «Non era il momento opportuno», taglia corto Craig Dykers, uno dei tre architetti (con Christoph Kappeller e Kjetil Thorsen), del gruppo norvegese Snøhetta, che vinse il bando di concorso internazionale per la costruzione della biblioteca nel lontano 1989.

Così, dal novembre del 2000, data prevista originariamente, si è arrivati a all 16 ottobre. Non che la situazione politica medio orientale sia affatto migliorata, nel frattempo. Ma, sostiene Craig, «ora siamo tutti un po’ più forti e pensiamo di potercela fare». L’apertura al pubblico è prevista per il 20 ottobre anche se, ufficiosamente, la nuova meraviglia architettonica conta già circa 8000 visitatori al giorno.

Fu nella vecchia biblioteca alessandrina che Aristarco, 1800 anni prima di Copernico, affermò che il sole ruotava intorno alla terra. Che Eratostene dimostrò che la terra era tonda. Che Euclide ci svelò i misteri della geometria e Archimede quelli delle leggi idrostatiche. Ismail Seralgedin, il direttore della nuova biblioteca, si augura che l’istituto riesca a recuperare lo spirito di apertura, ma anche di sapere e di conoscenza di quei tempi. «Che incoraggi la curiosità che scaturisce dagli spiriti liberi e dalla libertà di parola», aggiunge l’ex direttore della Banca mondiale ora in lizza per l’Unesco. In realtà, si teme sia proprio la censura vigente nel paese a ostacolare lo sviluppo della biblioteca. Ma, grazie alla legge numero 1 del 2001, la biblioteca alessandrina godrà di totale indipendenza almeno rispetto ai ministeri, dipendendo solo da Mubarak direttamente. E aspirando così a diventare la biblioteca del nuovo millennio, con antichi manoscritti digitalizzati, sistemi di fruizione di cultura multimediali, e un moderno centro di apprendimento e dialogo. «L’alessandrina come avamposto della pace», è lo slogan che guida l’inaugurazione.

Prima di recarsi ad Alessandria d’Egitto, Craig Dykers è venuto a Roma, per illustrare i progetti architettonici della alexandrina in mostra fino al 21 dicembre prossimo alla Biblioteca nazionale centrale.

Com’era la vecchia biblioteca di Alessandro?
Se metti due storici in una stanza, si uccidono prima di darti una risposta. Non si sa. Né è noto il numero dei volumi che conteneva: dai 500 ai 700 mila papiri, si dice. Che credo voglia dire circa 60 mila libri. Non tanti. Erano i cervelli che la frequentavano che facevano la differenza. Il motivo per cui si riunivano a pensare e discutere. Ma sono tutte leggende, in realtà nessuno sa cosa contenesse davvero. Per questo noi di Snøhetta non abbiamo scolpito un sogno, abbiamo creato un posto dove si possa sognare.

Snøhetta è la montagna del Peer Gynt di Ibsen, dove gli elfi portarono il ragazzo che mentiva troppo per ricordarsi che bugie avesse inventato. Come mai questo nome?

Sì, ma non solo. Snøhetta è la montagna dove si ritiene si trovi il Valhalla, l’antico luogo sacro dei vichinghi. Abbiamo così voluto sintetizzare il modo in cui lavoriamo, creando un legame profondo e inscindibile tra architettura e paesaggio. Per paesaggio non intendo solo le piante che originariamente si ritiene popolassero, per esempio, Alessandria. È tutto ciò che circonda l’edificio che andremo a costruire. Prendi la biblioteca, è un cilindro tondo inclinato, proprio perché non è adagiato sul terreno: è come se lo trafiggesse. Ci è dentro. Arrivati al giorno d’oggi, con la crescita demografica e la scarsità delle risorse, non solo dobbiamo lavorare con materiali rinnovabili, ma anche fare in modo che tutto ciò che costruiamo sia in connessione con la natura.

è per questo che il corpo principale della biblioteca è tondo, a simbolizzare i pianeti, il dio faraonico Ra, la luna?

Esatto. Gli umani sono stati cacciatori per più di un milione di anni. Cacciare richiede un modo particolare di vivere. Si lavora di notte, o all’alba, sempre illuminati dalla luna. Ma il ciclo della luna non è prevedibile. Ci sono voluti più di cento anni perché ci si capisse qualcosa. Con l’avvento dell’agricoltura e della vita domestica, la vita cominciò a essere regolata dal sole. Mentre il sole scandisce le nostre giornate tutte uguali, in maniera quindi programmabile, la luna rappresenta l’intuizione. Noi che viviamo adesso siamo la sintesi di entrambi questi modi di pensare. Dentro di noi c’è il continuo dilemma tra l’intuizione e programmazione, ordine e caos, noia e panico. Abbiamo cercato di ricreare tutto ciò nella Bibliotheca. Il muro di granito esterno (8 mila metri quadrati incisi con lettere e simboli di oltre 300 scritture, ndr) è un esempio di arte primitiva, mentre il vetro che copre la struttura a cilindro ha richiesto un’enorme quantità di pianificazione e tecnologia, è perfettamente programmato. In un certo senso, ricorda il sole, il dio Ra e la luna, Selena, presente anche nella mitologia greca.

Avete vinto il bando su 524 proposte. Come vi siete trovati a lavorare in Egitto?

Siamo una società internazionale, basata in Norvegia, ma formata da un gruppo di artisti di diversa origine, quindi già avvezza a mediare tra varie culture. Gli egiziani hanno rispettato il nostro lavoro. Immagina la faccia che possono avere fatto quando, per un progetto così grande, si sono presentati loro tre giovanissimi architetti. Io avevo 28 anni. Cominciammo a lavorare nel ’92. Allora l’uso dei computer era minimo. Lo stesso livello di ignoranza tecnologica ci univa tutti, norvegesi ed egiziani. L’unico problema è stato con i tempi. Ma, tutto sommato, siamo riusciti a rimanere entro 10% del tempo programmato e anche 10% del budget.

Più di 85 mila metri quadrati, su tredici piani per 32 metri di altezza. Tre musei, due auditorium, un planetario, un conservatorio e due sale conferenze, per grandi e piccini. Totale, 300 milioni di dollari…

L’edificio in sé è costato 212 milioni. Il resto erano le opere intorno e ristrutturazioni urbanistiche agganciate alla realizzazione della biblioteca. Ma in ogni caso non è molto. Sai quanto costa uno di quegli aeroplanini che riescono a non farsi avvistare dai radar e sganciano bombe a tutto spiano? Senza bombe, costa 900 milioni di dollari.

A proposito della Bibliotheca hai detto spesso che dovrebbe contribuire a creare una "conoscenza universale". Come ritieni si inserisca internet in un luogo fisico?

Vorrei dire che le biblioteche sono un’istituzione democratica. Ma in questi giorni usare la parola "democrazia" è come dire "veleno". Eppure, non tutti possono permettersi un computer. La biblioteca fornisce un accesso al mondo digitale. Soprattutto, mentre il computer, e internet, creano un inevitabile rapporto individuale con lo schermo, la biblioteca restituisce lo spazio fisico, crea il ponte necessario tra il virtuale e il reale. E diventa ancora più importante nell’era digitale. È vero, il mondo sta cambiando, ma dire che le biblioteche scompariranno è una bestialità. L’anno scorso solo la British library ha avuto 240 milioni di visitatori. Nessun computer potrà mai sostituire l’odore delle pagine di un libro.

Grazie.