Home | back | Al Cairo ha vinto la Lazio | Ascensore per le stelle | Before Reagan | Bibliotheca alexandrina | El Shalatin | Hassanuni | I Cavalieri della tavola rotonda | L'Islam sorride ma non ai baci | Matar | Puzza | Archivio


Al cairo ha vinto la Lazio

 

Cairo, 20 aprile 2003 - NOHA OMARI

 

È stato un sabato triste. Ho provato a chiedere il perché  al tipo del chiosco sotto casa, ma dentro di me sapevo. Aveva vinto la Lazio: è come se il derby cairota fosse stato vinto dai biancocelesti - e non solo per i colori delle squadre.  «È tutta colpa dell’arbitro. È un venduto nazista», ripeteva il tipo del chiosco, masticando noccioline, riferendosi all’arbitro tedesco.

Per un attimo, venerdì, la tristezza che si era impossessata di questa città almeno dal 20 marzo scorso, non si percepiva più. Aveva smesso di essere tangibile. È più di un mese che gli egiziani, uno dei popoli con il più spiccato senso dell’umorismo che mi sia capitato di conoscere, non ridevano più. I cairoti avevano perso la capacità di trovare il lato buffo di ogni situazione. Nonostante sembrino in genere perennemente ebbri, era un mese che non riuscivano neanche più a sorridere: per le strade, nelle cene, nei bar, nei caffé  a fumare il narghilè. Il sentimento dominante non era la rabbia, che pure ci hanno fatto vedere in copiose immagini nei TG di tutto il mondo: era tristezza, profonda e lancinante, per l’inversione a U che la storia aveva deciso di intraprendere. Se ne era accorto anche il cielo. Quelle stesse tempeste di sabbia che scompigliavano i capelli delle nostre inviate a Baghdad arrivavano fin di qua attraverso il Mar Rosso. In quei giorni di guerra, il cielo diventava giallo, pesante. Pioveva sabbia – ma senza acqua, come succede in Europa: solo sabbia, per giorni. I primi giorni di guerra ininterrottamente. E poi a tratti, alcuni pomeriggi o con il vento che ululava di notte.

Anche venerdì non c’era il sole e il cielo era tutt’altro che terso (tra smog, tempeste di sabbia e fattori atmosferici che si adeguano agli umori della gente non sembra più di vivere in Africa). Ma la città aveva ripreso a sorridere. I diavoli erano tornati e non si vedevano altro che bandiere e sciarpe rosse a i semafori.

Zamalek contro al ahly. Questi ultimi, i diavoli, appunto, avevano battutto i giallorossi nell’amichevole estiva. Al derby che aveva chiuso lo scorso campionato avevano portato a casa un bel 6 a 1. Sabato hanno incassato tre gol riuscendone a restituire solamente uno.

Zamalek è un quartiere della capitale egiziana: una romantica isola in mezzo al Nilo con palazzine inizio secolo. Forse per rispettare la tradizione egiziana di creare confusione a più non posso, la sede di al ahly è proprio nell’isola di Zamalek, che invece si allena a Giza. Ma il tifo dei diavoli attraversa ogni quartiere. E francamente è più simpatico. Quando ha vinto al ahly, l’anno scorso, tutta la città – una delle più grandi al mondo, con oltre 20 milioni di abitanti – era impazzita. La settimana di festeggiamenti per l’ultimo scudetto della Roma, a Testaccio e dintorni, era nulla in confronto.

Ci voleva proprio una bella vittoria dei diavoli. Non so se fosse colpa dell’arbitro. C’è chi dice che la difesa dell’ al ahly  sia troppo debole. Non sono nemmeno in grado di dire se sia stata una vittoria meritata o rubata. Non dico nemmeno che i diavoli dovessero vincere perché a me stanno più simpatici e perché mi sembrano anche calcisticamente più bravi. Solo, sarebbe servito ai cairoti, tornare a sorridere. In quei 60 minuti, negli ultimi 30 giorni, era tornata la speranza che il mondo potesse ricominciare a girare per il verso giusto.

C.L.