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OUT HUD: LET US NEVER SPEAK OF IT AGAIN (!k7)

 

OUT HUD: LET US NEVER SPEAK OF IT AGAIN“Dear Mr. Bush, There Are Over 100 Words For Shit And Only One For Music. Fuck You, Out Hud”

 

“Caro Mr. Bush, ci sono più di 100 parole per indicare la merda, una sola per indicar la musica. Fanculo, firmato Out Hud”.

Egregio George Dabliù, beccati la dedica proveniente dal titolo della (stupenda) track n. 9 di Let Us Never Speak Of It Again, nuovo lavoro del quintetto U.S.A..

 

Chi sono gli Out Hud? Tre schegge (per niente) impazzite del gruppo mutante !!!, Justin Vandervolgen, Nic Offer e Tyler Pope (quest’ultimo in combutta nei live del progetto hype della stagione, LCD Soundsystem) e due ragazze californiane, Phyllis Forbes e Molly Schnick che prestano la voce: come i Tom Tom Club versione terzo millennio, in overdose da assunzione di chimici prodotti punky funky electro.

Non poteva essere altrimenti, vista l’ossatura del gruppo: dei Chk Chk Chk emerge spesso nel disco la struttura ritmica che li ha resi famosi, quell’amalgama irresistibile di bassoni wave - funk, cassa dritta - pedalare e sporche rasoiate rock.

La seconda realizzazione dei Nostri (la prima? S.T.R.E.E.T. D.A.D., 2002) è caratterizzata dalla dance, segnatamente dalla house e offre diversi spunti di riflessione al genere più in crisi del momento. Come? Paradossalmente riportandolo allo stato primigenio, evidenziandone alcuni elementi identificativi come la presenza delle voci femminili, il ritmo costante – ipnotico (mai estremizzato) e l’estensione delle tracce.

Punto. Tutto il resto è un lavorìo mirato allo sverginare la serenità e l’apparente felicità della disco che fu: la “musica da ballo” degli Out Hud è costantemente sporcata dalle più diverse sensazioni sonore (gli statunitensi rivendicano influenze come quelle di Neptunes, Dr Dre, Adrian Sherwood, ma in realtà dal cilindro esce ben altro).

Senza dimenticare le spiagge strumentali.

The Song So Good They Named It Thrice è un delirio tribal-trance di 8 minuti: i !!! in concerto nella giungla in compagnia di Abe Duque e di un gruppo di indigeni suonatori di djembè, magari dopo un lauto pasto a base di “verdure” locali.  

L’apoteosi giunge nella già citata Dear Mr. Bush: questa volta i Nostri sono idealmente a Detroit, negli studi di produzione della storica Underground Resistance e se la fanno con Jeff Mills e Mike Banks. Il risultato: undici minuti di cavalcata techno – funk – punk (aaahhhrgghhhhh! Come diavolo posso raccontarvela se non con termini così algidi?), archi, synth, echi, suoni persi nel vuoto, timide melodie soffocate dall’incedere possente del basso e della cassa.

Nonostante l’evidente crisi della club culture, nonostante il riciclo a mò di catena di montaggio di pensieri ed ispirazioni provenienti dal passato (neanche troppo lontano, per la verità), nonostante, nonostante, nonostante…la stagione promette bene, l’ennesima riappacificazione tra dance e punk-rock ha già regalato nuove emozioni fuori e sopra i dancefloor: oltreoceano Out Hud, LCD Soundsystem (e mi azzarderei ad aggiungere, per le attitudini, il già nominato Re Abe Duque), nel Vecchio Continente Munk ed affiliati Gomma.

State in campana…

 

 Bob Sinisi

sul web: www.k7.com

               www.brainwashed.com/outhud