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INTERVISTA  A GIANCARLO DE CATALDO di Nino G. D’Attis

 

Giancarlo De CataldoGiancarlo De Cataldo, nato a Taranto nel 1956, vive a Roma dove è giudice presso la Corte d'Assise. Romanziere, saggista, autore di testi per il teatro, la radio e la tv,  ha pubblicato nel 1989 Nero come il cuore per la casa editrice Interno Giallo, romanzo che ha ispirato un film diretto da Maurizio Ponzi e interpretato da Giancarlo Giannini. Del 1992 è Minima criminalia - storie di carcerati e carcerieri (Manifestolibri). Nella collana Einaudi Stilelibero sono usciti Teneri assassini (2000) e Romanzo criminale (2002).

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Partiamo dalla genesi di Romanzo Criminale: quando ha cominciato a lavorarci e quanto tempo ha impiegato a scriverlo?
Tempi: all'incirca due anni fra prima e seconda stesura, editing, nuova riscrittura, nuovo editing. Diventano ancora più lunghi, i tempi, se ci mettiamo pure il lavoro di 'scalettatura'.
 
Stile e metodo: come ci si allena alla stesura di un lavoro così complesso per situazioni e personaggi?
Si parte da una scaletta che ti permette di fissare i percorsi (le 'tramine') dei singoli personaggi. Si studiano poii punti d'intersezione, in questo caso alcuni obbligati dalla Storia con la S maiuscola, altri completamente ed esclusivamente funzionali alla struttura del racconto. Si comincia quindi a scrivere, dopo questo lavoraccio di abrasione della parete, e si giunge a un punto in cui immancabilmente ci si rende conto che nella scaletta c'era un 'baco', un errore, una dèfaillance. Allora si riprende tutto daccapo, e si ricomincia. Finché non viene il momento in cui il meglio diventa nemico del bene, il perfezionismo ti blocca su una scena e non riesci ad uscirne se non a patto di un fortissimo atto di volontà: rinunciando a qualcosa che ti sta molto a cuore (una scena, un personaggio, una situazione, una sequenza, un aggettivo, al limite) e riprendendo il discorso dalla cicatrice. Moltiplicate il tutto per centinaia di volte e avrete un'idea dell'esercizio fisico dello scrivere.
 

Le gesta della vera banda della Magliana sono state documentate su un numero imprecisato di atti ufficiali ed hanno riempito le pagine di cronaca nera in un arco di tempo che va dal 1976 alla prima metà degli anni Novanta. È stato difficile gestire questa considerevole mole di informazioni e innestarla nel tessuto puramente narrativo del libro?
L'errore di fondo sta nel considerare Romanzo Criminale come una storia della Banda della Magliana. Prima ancora che dai rapporti giudiziari e dalle sentenze, la vera storia di questa holding criminale è stata ottimamente scritta da Bianconi, Flamini e altri. Il compito del narratore è di tradire la storia (che sarebbe bella cosa, diceva Tolstoi, se solo fosse vera) piegandola alle esigenze del Mito. Estrarre dai nudi fatti una linea metaforica e mitologica e puntare al cuore di una falsa storia: per ciò stesso più vera, e comunque più convincente, di quella 'ufficiale'.
 

Può dirmi qualcosa a proposito del suo lavoro sulla lingua, sulle espressioni gergali dei personaggi?
Si parla, in questo libro, un romanesco bastardo figlio della mutazione antropologica indotta dal boom degli anni Sessanta, dalla TV, dal segmento fenomenico (espressione verbale) di quella che Pasolini chiamava l'omologazione culturale delle classi. Non ancora il romanese coatto degli anni Novanta, ma già qualcosa di profondamente diverso dalla lingua classica del
Belli. Che in parte, miracolosamente, ancora oggi, in certe realtà romane, sopravvive.

 
Presentando il suo libro a Roma lei ha dichiarato: “Non ci sono rivelazioni in questo romanzo” e ha insistito sull’importanza di una letteratura in grado di creare un livello mitologico sulla base degli accadimenti reali, di eventi storici... 
Vale ciò che ho detto prima: il Mito prevale sulla cronaca laddove il suo senso è quello di saper raccontare - e non riferire -  una pluralità di fatti stranoti, superaccertati, iperrimasticati dal circo mediatico. Mettere i fatti in fila e piegarli alla struttura del racconto, ossia all'esigenza del Mito. Questo il senso di Romanzo Criminale.
 

A cosa dobbiamo, secondo lei, l’emergere di un gruppo di ottimi narratori (Wu Ming, Massimo Carlotto, lei stesso) particolarmente attenti ad una letteratura al tempo stesso di testimonianza e d’intrattenimento?
A una sacrosanta, ancorché tardiva, reazione alla tradizione aulico/accademica delle nostrane lettere, consegnate a una convinta sudditanza alla dittatura della Lingua a tutto discapito del valore della Struttura: dove ciò che conta non è la storia narrata, ma quella - intima - del narratore. Aggiungo che un tratto comune fra gli autori da te citati e i non pochi altri (dal mostro sacro Camilleri, al precursore Loriano Macchiavelli, a Simi, Dazieri, Di Cara, Narciso, Degli Antoni, Bernardi, Leonardo Gori, Lucarelli, al superbo Ammaniti e mi scuso per le omissioni dovute allo spazio tiranno) che ci sono compagni lungo questa strada è un sacro rispetto del lettore: non scriveremmo mai una cosa che, da lettori, ci annoierebbe. Ciò ci impone di scrivere dei temi che noi per primi sentiamo come i più avvincenti. Ne deriva, giocoforza, una costante attenzione all'Italia com'è oggi, alle sue mutazioni, e, paradossalmente ma non tanto, una ricorrente ossessione per la 'memoria storica' nel senso che dicevo prima: non come nudo elenco di fatti, ma come Mito che quei fatti consegna a una visione unificatrice. In definitiva, non scriviamo per noi stessi, ma per essere letti possibilmente dal maggior numero possibile di lettori. E ne siamo orgogliosi.
 

Romanzo Criminale introduce nel nostro paese il noir d’inchiesta, territorio praticato in America da James Ellroy. In questo senso, da noi c’era proprio un vuoto da riempire...il problema è che qualcuno insisterà con gli atavici pregiudizi sul romanzo di genere (non parlo ovviamente dei lettori)...
Le opinioni che non condivido non hanno mai rappresentato, per me, un problema. Le rispetto, e a volte ne riconosco la fondatezza. D'altronde, trovo le polemiche letterarie noiose, e quelle fra letterati assolutamente detestabili.
 
Molte uscite di scena del libro sono giocate su un ritmo secco, su tempi rapidi di esecuzione, con personaggi, anche di primo piano, che muoiono nello spazio di poche battute. I ripetuti tentativi della banda di regolare i conti con la famiglia Gemito hanno invece qualcosa di comico, se non proprio da cartoon...penso ad esempio all’episodio della cattura di Bufalo e Ricotta...
 La commedia è molto presente in Romanzo Criminale perché la commedia incarna uno dei tratti salienti e irrinunciabili del carattere nazionale. La grande commedia ha fatto grande il cinema italiano. E, nello specifico, non sono pochi i criminali dotati di un fortissimo, anche se ovviamente macabro, sense of humour.  
 
Lei ha scritto anche per il teatro e la tv. Che rapporto ha con il cinema? Anche come spettatore, intendo.
 Confesso: guardo poco la TV, vado sempre meno a teatro da quando ci hanno tolto ("ci", a noi romani) il grande Martone. Quanto al cinema, è la mia prima passione: cominciò tutto con Zabriskie Point di Antonioni (avevo 14 anni e a Taranto  frequentavo il classico cineforum dei gesuiti, che siano benedetti per aver insegnato alla nostra generazione il valore della disobbedienza). Poi vennero Welles e Kurosawa, e Sergio Leone. E oggi Takeshi Kitano (Brother è stata una fonte d'ispirazione potente per Romanzo Criminale) e molto del bistrattato cinema italiano: I Cento Passi di Giordana, e El Alamein di Enzo Monteleone, e Massima Velocità di Daniele Vicari e L'imbalsamatore di Matteo Garrone, e mi fermo qui perché l'elenco sarebbe sterminato (dove mettere Spielberg, Scorsese, Polanski, Moretti, Martone, Coppola, Soderbergh, Kaurismaki, Fight Club, Enzo D'Alò, il grandissimo Lynch...) Sì, a cinema sono onnivoro e mi piace, da spettatore, dimenticare ciò che dovrei sapere a proposito di strutture, tecnica di redazione della sceneggiatura, ecc.
  
So che Romanzo Criminale ha già cominciato a destare l’interesse dei produttori cinematografici. Può parlarcene un po’?
 Alt! Sono meridionale, e quindi superstizioso. Prima firmare e poi parlare.

 

Grazie.