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INTERVISTA AD ANDREW MASTERSON        di Nino G. D’Attis

 

Giornalista dal 1984, Andrew Masterson ha collaborato con The Age; Smash Hits; HQ; The Good Weekend occupandosi di musica ma anche di cronaca nera e reportages. Ha scritto alcuni saggi ed è autore di altri due romanzi (il più recente è Death to the author). È un quarantaduenne inglese approdato in Australia nel 1968 ed il suo curriculum include tra l’altro lavori come attore e musicista. Con Gli Ultimi giorni, pubblicato in Italia da Marsilio e premiato in Australia con il Ned Kelly Award 1999 come migliore opera prima, ha dato inizio al ciclo di Joe Panther (proseguito con Second coming). Questa intervista, realizzata via mail grazie a Jacopo De Michelis, editor italiano di Masterson, nasce dopo una vertiginosa immersione ne Gli Ultimi giorni e tenta di far luce sul passato e sul futuro di Joe Panther (aka Gesù).

 

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Gli Ultimi giorni segna una nuova direzione radicalmente diversa nel noir: fede, omicidi e investigazioni private con il più grande personaggio della storia nelle vesti di spacciatore di droga condannato ai casini eterni! Come sei arrivato a questo romanzo? Da dove è venuto fuori?

Le mie tre grandi aree d’interesse sono la storia, la religione e la crime fiction. Sono arrivato gradualmente a realizzare che il personaggio di Gesù nel Nuovo Testamento si adattava molto all’archetipo dell’antieroe della crime fiction: un uomo solo, forte e perseguitato dalle autorità. Pensavo che sarebbe stato interessante provare a combinare le due aree. Poi scoprii la teoria secondo la quale il vero padre di Gesù sarebbe stato un soldato romano di nome Pantera. Questo rese il suo nome, in aramaico, Yoshu ben Pantera, che tradotto in inglese come Joe Panther mi faceva pensare ad un nome molto carino per un antieroe! Immaginai anche che secoli di dogmatica reinterpretazione delle narrazioni evangeliche significassero che l’idea di Gesù che abbiamo ai giorni nostri era molto lontana dalle intenzioni degli scrittori originali. Perciò, Gesù è già di per sé un personaggio immaginario, e risulta come un atto di legittima iconoclastia collocarlo nel ruolo di un tormentato outsider antisociale. Una volta formata l’idea, il romanzo venne fuori molto velocemente. Credo, a memoria, che per la prima stesura ci siano volute solo 16 settimane.

 

Molti elementi della storia e della cultura occidentali sono stati assorbiti nel libro. È una fusione di crime novel e teologia e comincia con le parole: "A questo ci si riduce". Suona come una dichiarazione!

È molto più di una frase ad effetto. Suppongo che "A questo ci si riduce" sia una scorciatoia per suggerire che la storia, o ciò che consideriamo come storia, in particolare nei termini biblici, possa essere ridotta ad uno standard narrativo o ad un altro. La Bibbia non è storia in assoluto, naturalmente. È forse sei differenti storie (o racconti morali) narrati e rinarrati cambiando solo i nomi.

 

Gli Ultimi giorni è pieno di umorismo nero. Vedi una connessione tra la tua scrittura e la linea di alcuni autori quali Irvine Welsh o Chuck Palahniuk?

A dire il vero non ho letto Palahniuk, anche se dovrei farlo. Mi piace molto Irvine Welsh, ma a parte il comune motivo dell’eroina e di altre droghe, non sono sicuro di una linea che ci accomuni. Irvine racconta storie meravigliose (e meravigliosamente nere) sulla sua cultura scozzese, mentre io penso che uno dei temi ricorrenti nei miei romanzi sia l’assenza di una qualsivoglia solida cultura. Penso di riflettere probabilmente l’esperienza post-coloniale australiana. Il 98% della gente australiana è nata altrove, oppure ha, in ultima analisi, dei bisnonni nati oltremare. Essere australiani significa essere fondamentalmente divorziati dalla storia. "L’appartenenza", in senso australiano, non è determinata dagli antenati e dalla memoria ma da uno sforzo individuale a volerlo.

 

Cultura del dolore, snuff-movies e, nel finale, una curiosa (crudele) visione dell’intero sistema televisivo e cinematografico. Che tipo di influenza hanno avuto i media e quanto hanno influenzato il romanzo?

Immagino che i media abbiano avuto un’influenza molto grande. Ho lavorato tutta la vita come giornalista, così ho avuto moltissime opportunità per studiare la differenza tra il modo in cui qualcosa viene riportato e ciò che in realtà è accaduto. Non è una critica dei media in se stessi. La maniera che abbiamo noi umani di comprendere gli eventi è di trasformarli in storie. Ma credo sia importante ricordare che un evento e una storia non sono la stessa cosa e che ogni evento che accade può essere trasformato in tante e tante storie. È stata fatta molta ricerca per Gli Ultimi giorni, che è in se stessa una funzione del giornalismo, e, dato il mio background, suppongo non sia sorprendente che ci siano molti riferimenti ai media nel testo.

 

Il monologo di Joe sembra quello di un sopravvissuto: conosce molte cose sul passato dell’umanità ma ha qualche problema con gli strumenti dell’età contemporanea (Internet, ad esempio). E tu?

Joe è un tantino interdetto quando si accosta a cose come Internet e l’email, non è vero? Tuttavia non c’è molto di autobiografico in Joe. Suppongo di essere un po’ lento nella comprensione quando si tratta di tecnologia, ma uso l’email ed Internet quotidianamente. Pure, non ho aggiornato il mio computer per anni, poiché tutto ciò che mi serve è un programma di scrittura e un account email. Molti anni fa intervistai lo scrittore di fantascienza William Gibson, e lui mi disse di aver scritto i suoi primi due romanzi su una macchina da scrivere manuale, cosa che trovai molto divertente, visto che erano sul ciberspazio.

 

Dal punto di vista del lettore sembra che tu abbia delle connessioni con gli scrittori associati all’ Avant-Pop. Ci sono autori o artisti che ti hanno aiutato a sviluppare la scrittura in questo senso?

Non sono davvero sicuro di cosa significhi Avant-Pop, ma ci sono alcuni autori di fiction e non-fiction che ho letto da giovane e che hanno certamente avuto una profonda influenza su di me. Ero molto colpito dai cosiddetti ‘Nuovi Giornalisti’ come Hunter S. Thompson, Gay Talese e Michael Herr. Ero affascinato dal teatro, e tanto, quando ero giovane, in particolare la scrittura di Samuel Beckett...mi immersi profondamente nei dadaisti. Scoprii gli autori di satira latini abbastanza presto, specialmente Giovenale. Per me, Giovenale era stupefacente: la sua opera è così cupa, amara, crudele e divertente...e continua ad esserlo 2000 anni dopo esser stata scritta!

 

Ho letto da qualche parte che mentre stavi scrivendo i romanzi di Joe avevi musica classica corale in sottofondo, è vero?...Ma Joe è un fan degli Smashing Pumpkins!

Ah ha! Per me la musica è molto importante quando scrivo. Non sono uno di quei romanzieri che scrivono in silenzio. Mi piace un casino di rumore. La chiave per me è accordare lo stile di musica allo stile di scrittura. Sì, ho ascoltato musica corale quando ho scritto i romanzi di Joe, e questo perché il ritmo delle messe antiche riflette lo stile quasi biblico dei modelli di pensiero di Joe. Quando rileggo le bozze (o provo a scrivere un articolo) suono abitualmente techno: Crystal Method, Prodigy, Timo Maas e così via. Stranamente, tendo ad usare gli Smashing Pumpkins ed altra roba a base di chitarra (principalmente punk e ska vecchio e nuovo) per compiti estranei alla scrittura, tipo pulire la casa.

 

Puoi dirmi qualcosa sulla trama di Second coming?

Joe si è spostato in una città australiana isolata chiamata Perth. Una lesbica è incinta di suo figlio (il nipote di Dio). Joe si sveglia in un vicolo accanto a una donna assassinata. Naturalmente, la polizia pensa che sia lui l’omicida. La sua amica lesbica ritiene che nei paraggi si aggiri un assassino di omosessuali e teme per la propria vita. Joe scopre che la donna morta aveva abbandonato di recente un culto religioso e comincia ad indagare. Nel corso della storia, incontra una prostituta adolescente che salva da una vita di prostituzione insegnandole a vendere eroina. È un romanzo sano, chiaro, altamente morale, pieno di bei valori familiari e di pietà religiosa, come al solito...

 

Dove vedi l’antieroe Joe tra cinque anni?

C’è un terzo romanzo di Joe in arrivo, più presto di quanto il mio editore australiano si aspetti. In esso, lui si unisce ad un duo rap che comprende un musulmano, Mohammed ed un ebreo, Moses. Si fanno chiamare Two Guys Named Mo (Due Tipi Chiamati Mo, N.d.r.). Dopo questo libro non ne sono sicuro, ma penso che Joe stia per andare a Roma molto presto...

 

Thank you!