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ANDREA PIVA: APOCALISSE DA CAMERA (Einaudi, pp. 206, € 13,80)
 

Andrea Piva

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La notizia dell’esordio nella narrativa di Andrea Piva, sceneggiatore de Lacapagira e del bellissimo Mio Cognato, sommata alle prime indiscrezioni sulla trama del romanzo, mi aveva fatto ben sperare: giovane assistente universitario di Filosofia del Diritto all’università di Bari. Droga e sesso (in cambio di favori alle sessioni d’esame); note in quarta di copertina (scritte dal solito editor gasato): “Sulfureo, impietoso, classico, questo romanzo febbrile, scritto con superba padronanza di stile, ci parla senza censure di un mondo dove ogni spinta diversa dal puro arricchimento è considerata alla stregua di inutile romanticheria (...)”. E che dire del titolo ad effetto? Tutto sbagliato, chiariamo subito questa cosa per evitare ulteriori fraintendimenti: l’esito non coincide di certo con le promesse strillate sulla confezione.

   Il libro comincia con una giornata tipo di Ugo Cenci: il professor Frappelle, titolare della cattedra, lo cerca al telefono mentre lui inganna il tempo palpeggiando una bellezza raccomandata. Fin qui tutto bene: c’è un potenziale bastardo che a pagina 12 viene messo sul chi vive (“Be’, dottor Cenci, anzi: Ugo, parliamoci chiaramente. Si dice che tu mercanteggi i voti in cambio di favori sessuali.”) e ci sarebbe materiale a sufficienza per scomodare i nomi di Philip Roth e Jonathan Franzen. Poco più avanti (non tanto, purtroppo), la storia prende una tangente diversa, si assesta sui toni della commedia senza avventurarsi troppo oltre i rassicuranti confini del senso comune. Rinuncia insomma a farsi satira, spaccato di un tricolore idiota e sinistro che la letteratura, se non fosse nelle mani di esperti di tecniche di vendita, dovrebbe pur arrischiarsi a mettere in luce (e mica possiamo morire sommersi dal ciarpame di gialletti educati con commissari in pantofole!). In fondo Ugo Cenci è un bravo ragazzo, un ribelle moderato (che ossimoro!), uno che incontra in spiaggia un Culo Parlante e se ne innamora perdutamente. La cocaina? Lapo l’ha sdoganata, e poi il fumo è roba da spleen adolescenziale, non risolleva l’animo dai mali amorosi dell’età adulta.

   Sarò fatto male, non dico di no. Sono un lettore che pretende troppo, soprattutto da un’Italia che, quando scrive e pubblica, ben di rado riflette criticamente su se stessa. Non c’è zolfo né cinismo, più spesso ci troviamo davanti agli occhi operine generazionali, malinconia ai tramonti di terza mano, autoreferenzialità mortificante. Tutto qui, davvero. E le cinquantenni con borsetta Prada e barboncino al guinzaglio comprano a pacchi libri “Non troppo cruenti, mi raccomando, signorina. Qualcosa sulla scia dell’Ammaniti più addomesticato!” Le professoresse delle superiori meriterebbero un premio letterario tutto per loro: sono la spina dorsale delle nostre classifiche di vendita, le migliori alleate dei Moccia, delle Mazzantini, dei De Carlo (nell’orrendo squadrone ora c’è anche Veltroni, il sindaco scrittore, il politico amico delle arti, il re della KURTURA DE NOANTRI!!!).

   Apocalisse da camera è un racconto carino, ben scritto (con l’uso della terza persona che mette premurosamente al riparo autore e lettori dalle invero futili trasgressioni del protagonista), espanso fino alla forma romanzo ora attraverso l’impiego di trovate divertenti (l’incontro notturno con Culo Parlante che finisce in dramma della schizofrenia; i preparativi in vista dell’orgetta con due studentesse), ora mediante lunghe, tediosissime riflessioni di Cenci Ugo sui suoi dolori (l’amore vero che latita, i morbosi legami di famiglia, la gioventù che passa). Il ritmo, quello sì, è impeccabile. Ma sarebbe come salvare un film (dal finale oltretutto prevedibile) elogiandone il montaggio.

   Piva viene dal cinema (anzi: dal miglior cinema realizzato in questo Paese nell’ultimo decennio), ed è un vero peccato che non riesca ad aggiungere niente ad una produzione letteraria che, salvo rare eccezioni, si compiace sempre più di essere prodotto medio, provocazione annunciata e mai mantenuta, avvilente flettersi su formule consolidate. Il suo romanzo migliore è lo script di Mio Cognato: storia forte, commedia che sfocia nel nero assoluto, portata sullo schermo dal fratello Alessandro e interpretata da Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio.

 

(J.R.D.)

Intervista ad Andrea Piva