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MARE NERO

MARE NERO
Titolo originale: id.
Regia: Roberta Torre
Interpreti: Luigi Lo Cascio, Anna Mouglalis, Maurizio Donadoni, Massimo Popolizio, Andrea Osvárt, Monica Samassa, Rossella d’Andrea
Soggetto: Roberta Torre, Marcello Siena, Andrea Piva
Sceneggiatura: Heidrun Schleef, Roberta Torre
Fotografia:  Daniele Ciprì
Scenografia:  Eugenia F. Di Napoli
Costumi:  Alberto Spiazzi
Musica: Shigeru Umebayashi
Montaggio:  Jacopo Quadri
Produzione: Cattleya, Babe Films in collaborazione con RAI Cinema
Paese: Italia,Francia Anno: 2006
Durata:  83'
Distribuzione:  01
Sito ufficiale: Mare Nero

“Da un’eternità il porco simboleggia le passioni sensuali e il piacere innocente provato nella semplice voluttà del fango.”

(Michel Onfray, Teoria del corpo amoroso, Roma, Fazi, 2006)

 

Un uomo, una donna e una storia già raccontata. Oppure: un attore fuoriclasse, una bellezza disarmante ed un Eyes Wide Shut de noantri (perdonami, Maestro, ma non sono io a dovermi sciacquare la bocca).

   E tra i punti di forza del quarto lungometraggio di Roberta Torre è d’obbligo menzionare la straordinaria fotografia di Daniele Ciprì, l’impianto scenografico di Eugenia F. Di Napoli e le musiche originali di Shigeru Umebayashi (escludendo quelle note di pianoforte già sentite in casa Kubrick, ma la regista dell’abominevole Tano da morire deve essersi proprio impuntata con il compositore diventato famoso grazie allo score di In the mood for love). Di buono non c’è altro in Mare Nero, pellicola che sulla carta prometteva molto, coproduzione italofrancese presentata all’ultima edizione del festival di Locarno, “noir a luci rosse” sciatto e incolore che scimmiotta a cuor leggero Kubrick (ma anche Lynch ed il Friedkin di Cruising) impantanandosi miseramente dopo i primi venti minuti.

   C’è un ispettore di polizia incaricato di indagare sull’omicidio di una studentessa universitaria che in privato amava darsi alle gioie del sesso estremo. È giovane, il poliziotto, ha appena cominciato una nuova relazione con Veronica, una gnocca francese (standing ovation per Anna Mouglalis), e avrebbe ottimi motivi per rincasare fischiettando alla fine del turno, ma qualcosa non torna. Luca, questo il suo nome, sviluppa un’insana ossessione per quel corpo senza vita e – soprattutto – per gli ambienti che quel corpo ha frequentato prima di finire all’obitorio: locali e parcheggi per scambisti che nella visione della Torre rappresentano un aldilà della coppia (“oltretomba dell’oltretomba”, avrebbe puntualizzato Carmelo Bene), stanze di un solipsismo dall’epicentro glaciale, funereo, malato.

   Arrogante e fragile, Luca lotta con la scoperta di una parte di sé sconosciuta: sbirro onesto che non sevizia i sospetti, non arrotonda con qualche traffico sporco, eppure ha la vocazione alla deriva del cattivo tenente (ohibò, qui tiriamo in ballo finanche la coppia Harvey Keitel/Abel Ferrara). Piedipiatti che scopre (in tutti i sensi) i corpi degli altri e prova paura e attrazione per una porzione di umanità che di notte cambia pelle, scioglie il nodo delle convenzioni mossa da ciò che i benpensanti (in religiosa erezione) chiamano da sempre “vizio”.

   Tutti in coro, prego: AAAAAAAAAAAAHHHH, DI QUEEEEESTO SI TRATTA!!!...

   C’è Lo Cascio a sostenere lo spettatore in un non-percorso snervante abbozzato senza il coraggio di osare, di imboccare una strada magari impervia ma rispettabile. L’attore fa quel che può, rimediando alle reiterate lacune di sceneggiatura e regia, mantenendo ferma la sua posizione nel gruppo di interpreti più preparati dell’attuale cinema italiano (Favino, Rossi Stuart, Scamarcio, Santamaria). Sono i movimenti del suo corpo, le espressioni del suo viso ad offrire i pochi elementi disturbanti del film: Lo Cascio vince perché dribbla l’effetto parodistico nel suo voltare le spalle al modello Cruise di Eyes Wide Shut.

   Manca il noir e manca l’hard in questo Mare Nero non più profondo dell’acquario che arreda l’appartamento del protagonista. L’eros, vivace o malato, è fermo sul binario morto del sentito dire, spalmato sull’impronta della rilettura negligente, di un garbuglio di simbologie elementari (la statua greca del Satiro danzante; l’irritante retaggio cattolico che permea il sogno di Veronica; il poliziotto anziano che – questa sarebbe meglio girarla a Bartezzaghi - sentenzia: «Noi siamo i chirurghi, non le viscere»).

   Delusione al cubo: punto tutto sul prossimo film di Paolo Sorrentino e tanti cari saluti alla signora Torre.

   P.S. Tornato a casa (nei clebbini privati non mi fanno entrare, ai parcheggi loschi mi sciolgono dietro i cani) ho messo su Decadence, un film di Francesco Fanelli con Michelle Wild, Gina Blue, Claudia Ferrari, Jennifer Dark e l’insuperabile Jessica Fiorentino. Consigliatissimo.

 

(J.R.D.)