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RING 2

Titolo originale: The Ring Two

Regia: Hideo Nakata

Interpreti: Naomi Watts, Simon Baker, David Dorfman, Elizabeth Perkins, Gary Cole, Sissy Spacek, Ryan Merriman, Emily VanCamp, Kelly Overton, Daveigh Chase, Kelly Stables

Soggetto: Kôji Suzuki

Sceneggiatura:  Ehren Kruger

Fotografia: Gabriel Beristain

Scenografia: James D. Bissell

Costumi: Wendy Chuck

Musiche: Hans Zimmer

Montaggio: Michael N. Knue

Produzione: Laurie MacDonald, Walter F. Parkes, Mark Sourian

Paese: USA Anno: 2005

Durata: 110'

Distribuzione: UIP

Sito ufficiale: www.ring2-themovie.com

Telefono a Nicola Hank, attore underground romano che forse ricorderete per film low budget come Gli Zippels sbarcano in Austria o Dance me to the end of love e gli dico solo un nome: Naomi Watts. Entrambi abbiamo un debole per l’attrice australiana il cui fascino non certo immediato ti solletica l’epidermide quando meno te lo aspetti, per non parlare poi di magnetismo e purezza che David Lynch ha sfruttato nel migliore dei modi nel suo capolavoro Mullholland Drive.

   Io ed Hank abbiamo un'altra passione in comune: l’horror.

Ring 2 sembrava così uno di quei film in cui non hai nulla da perdere visto la scarsa produzione, da parte del cinema occidentale, di film di questo genere.

Avevo molto apprezzato The Ring , più della versione orientale, forse proprio per la presenza della Watts e di David Dorfmann bambino a cui non farei da babysitter per tutto l’oro del mondo.

   Il soggetto, tratto dal libro omonimo di Kôji Suzuki era parecchio inquietante, con una misteriosa videocassetta che sconsiglio di vedere, fantasmi di bambine che si muovono in modo disarticolato e atmosfere infette e alienanti. Qualche buco narrativo, qualche scelta di comodo ma un buon film capace di mantenere alta la tensione se si riesce ad entrarci.

   Ring 2 purtroppo ha tutti i difetti riscontrabili nella maggior parte dei sequel, nonostante la presenza rassicurante alla regia di Hideo Nakata, autore che avrebbe dovuto garantire credibilità dopo essersi fatto le ossa con Ringu e Ringu 2.

   Non ci sono poi grandi sorprese. Stesso team di attori, stesse facce deformi e il solito mistero che ti obbliga a lottare contro il tempo per non fare una fine raccapricciante.

   Alcune scene sono efficaci e in più di un’occasione mi sono ritrovato a stritolare il braccio di Hank impassibile al mio fianco, come quella in cui dei cervi circondano la macchina della Watts in gita di campagna col figlio. Interessante anche l’idea che l’unico modo per liberarsi dal fantasma della bambina infelice sia annegare il proprio figlio nella vasca da bagno. Atto di fede che la Watts interpreta con un malcelato sadismo.

   Per tutto il film si ha la sensazione che debba accadere qualcosa, che ci sia una chiave che da un momento all’altro apra porte su qualche spaventosa dimensione e solo quando scorrono i titoli di coda ci si rende pienamente conto della povertà di idee e della scarsa immaginazione del regista giapponese.

   Perché non affidarsi ancora allo scrittore  Suzuki che nella sua trilogia The Ring, Spiral e Loop abbondava di materiale inquietante? Perché limitarsi ad una trita sceneggiatura accontentandosi di vivere di rendita con il successo del primo film?

   Io ed Hank, assaliti dai dubbi, usciamo dal cinema incontrando uno di quei memorabili pomeriggi estivi che apprezzi soprattutto dopo due ore in una sala buia, amareggiati, un poco delusi con la sola consolazione di sentire sulla pelle il sapore inconfondibile di Naomi Watts.

 

Jo Laudato