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DONNIE DARKO

DONNIE DARKO

Titolo originale: id.

Regia: Richard Kelly

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Holmes Osborne, Maggie Gyllenhal, Daveigh Chase, Mary McDonnell, James Duval, Patrick Swayze, Mark Hoffman, Drew Barrymore, Katharine Ross, Kristina Malota, Marina Malota

Soggetto e sceneggiatura:  Richard Kelly

Fotografia: Steven B. Poster

Scenografia: Alexander Hammond

Costumi: April Ferry

Musiche: Michael Andrews

Montaggio: Eric Strand, Sam Bauer

Produzione: Adam Fields, Sean McKittrick per Pandora Cinema, Adam Fields Productions, Gaylord Films, Flower Films, Darko Productions

Paese: USA Anno: 2001

Durata: 113'

Distribuzione: Moviemax

Sito ufficiale: www.donniedarko.it

.... si perché succede che è lunedì e sono le otto. È scuro e piove e il quartiere africano è un posto di Roma che c'ha la sua atmosfera, a quest'ora, sotto 'sta pioggerellina nera che la senti solo se ci vuoi far caso. E allora entri al cinema perché c'è Donnie Darko, il film che se ne parla da anni nel web e che pare l'abbia girato uno che, all'epoca, c'aveva nemmeno 26 anni. Così succede che dentro è più scuro che fuori e pare che ci piova pure qui, tra le poltrone. Ma tanto te ne accorgi solo se ci vuoi far caso e decidi di non farci caso. Il film comincia che ti sei appena seduto ed è il segno che tutto stranamente fila liscio. Intorno c'è il vuoto, e sembra che gli eventi e gli umori vadano d'accordo e te la diano vinta. 

Insomma pare che 'sto Donnie Darko alla sua prima uscita nelle sale, tre anni fa, fosse andato male perché s'è dovuto beccare la crisi dell'11 settembre, con la gente che certe storie non le voleva vedere perché già la realtà era quello che era. Ma poi, in qualche modo, tra circuiti underground, home video e internet, pare che il film sia resuscitato, che abbia incassato milioni di dollari e che tanti milioni di teen-ager giochino alla caccia dei dettagli e dei piccoli indizi per spiegare il senso ultimo di una roba che pare un frankenstein tra Mulholland Drive e I Goonies. Nel frattempo il rullo della pellicola è partito: c'é Donnie che pedala nei vialetti alberati della provincia, c'è Donnie a scuola con l'insegnante alternativa che parla di Graham Greene, c'è Donnie a cena con mamma papà e sorelle e fuori naturalmente c'è il prato ben tagliato e il tappeto elastico per la piccola. Poi c'è Donnie che sente strane voci. Blaterano della fine del mondo. Almeno così dice un coniglione gigante che si chiama Frank... Frank? Ma non sarà che dietro la maschera di peluche c'è il folle Frank con la faccia di Dennis Hopper arrivato fin qui da Velluto Blu?  Frank dice cosa fare, come fare, e perché. Così Donnie comincia a girare con l'accetta in spalla. E ha pure la stessa espressione deviata che ha Jack Torrance ogni volta che discute con il suo amico immaginario nella tea-room dell'Overlook Hotel. E poi arriva la teoria dei viaggi nel tempo, così succede che questioni come Dio e la Scienza si mescolano con la De Lorean grigio-metalizzata di Marty McFly. Ed effettivamente capisci che stai vedendo il film di uno che ha la tua età ed è cresciuto pure lui con i teenager-movie hollywoodiani degli anni ottanta. E il film è ambientato nel 1988 e ci trovi una maglietta rubata a Ralph Macchio in Karate Kid durante la festa di Halloween. Ci vedi le missioni in bici nella notte manco fosse ET o Explorers e c'è quella fotografia rarefatta che è la stessa che illuminava i volti d'annata di River Phoenix o Ethan Hawke. Poi in tv compare pure lo scontro elettorale tra il vecchio Bush (quello che appare sempre nei Simpsons) e lo sfidante Dukakis. Così senti che tra l'esistenzialismo adolescenziale e la science-fiction si insinua un certo sguardo sociale e politico verso gli Stati Uniti. Respiri il fanatismo religioso e il conservatorismo bigotto. In qualche modo senti l'aroma triste di un popolo perso nella paura. Un paese che pur di non aprire gli occhi rielegge, oggi, lo stesso presidente che forse il mondo ce lo porterà davvero alla distruzione. E forse l'horror metafisico in questo Donnie Darko lo annusi e lo assapori ma non riesci a localizzarlo perché diventa uno stato d'animo come la pioggerellina nera che continua a bagnarti le ossa. E intorno c'è il buio mentre il tempo si avvita dentro la teoria dei 'wormholes', i tunnel spazio temporali che basta un mezzo metallico tipo un aereo un astronave o una decappottabile per entrarci dentro e saltare da una linea all'altra della storia.

Così succede che finisce tutto. Gary Jules canta sofferto Mad World dei Tears For Fears. Titoli di coda: regia di Richard Kelly. Interpreti: Drew Barrymore, Patrick Swayze, poi quello di E.R., quella di Balla coi lupi, quello de Il Laurato, ecc.

Succede che esci. Torni al tuo quartiere. Ti becchi una Peroni al baretto con la serranda già mezza abbassata. Ti fermi per un po' sotto un balcone. Birra fredda nella mano fredda. In piedi e con le spalle curve. Fissi un cespuglio. E capisci che tutto quello che hai visto non riesci ad incastrarlo, a spiegarlo, a ricostruirlo. E tra Lynch, Joe Dante, Stephen King, Zemeckis, Graham Greene e la Filosofia dei viaggi nel tempo di Nonna Morte ci vedi pure il 'loop' temporale di quel film di Terry Gilliam, quello con Bruce Willis che muore sulla banchina di un aeroporto mentre Madeleine Stone se lo tiene tra le braccia piangendo. Però non riesci ad incastrare. Ma sai che l'hai capito e sai che te lo porterai dietro per un po'. Assieme a tutti quei ragazzetti eccitati che su internet si scambiano teorie e supposizioni per spiegare il senso ultimo di una roba che pare un frankenstein tra...

Antonello Schioppa