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LAST DAYS

LAST DAYS di Gus Van Sant

Titolo originale: id.

Regia: Gus Van Sant

Interpreti: Michael Pitt, Lukas Haas, Asia Argento, Scott Green, Nicole Vicius, Ricky Jay, Ryan Orion, Harmony Korine

Soggetto e sceneggiatura:  Gus Van Sant

Fotografia: Harris Savides

Scenografia: Tim Grimes, Sarah McMillan

Costumi: Michelle Matland

Musiche: Thurston Moore

Montaggio: Gus Van Sant

Produzione: Gus Van Sant e Dany Wolf per Hbo Films, Pie Films Inc.

Paese: USA Anno: 2005

Durata: 85'

Distribuzione: BIM

Sito ufficiale: http://www.bimfilm.com/lastdays

A me è sembrato un fantastico horror. Malato, spettrale, sinistro. Per lo spettatore risulterà più estremo e più difficile di Elephant, secondo pezzo della trilogia avviata da Gerry nel 2002. Come per i primi due, il film-omaggio a Kurt Cobain è cinema sperimentale applicato ad un fatto di cronaca. In questo caso: una morte che ha marcato un decennio e smosso la fantasia collettiva.

   Last Days è uno dei film più interessanti legati ad un mito, perché il mito non c’è. Nel senso che manca la memoria, la celebrazione, la ricchezza, la ricerca artistica, la droga, la poesia, le donne. Mancano pure i pensieri. LAST DAYS di Gus Van SantDel divo rock non c’è nulla. Se non i capelli sporchi, l’andatura incerta e un fucile ormai leggendario quanto Smells Like Teen Spirit.

   Last Days è un gioco d’immaginazione sugli ultimi sconosciuti giorni di vita del leader dei Nirvana. O meglio: la poetica zavattiniana del pedinamento applicata ad un ragazzo che vaga tra i boschi di Seattle. Un ragazzo che non parla con nessuno, se non con se stesso e la sua chitarra. E che non sente nulla, a parte la sua musica o quel poco che ne rimane. Avviso per lo spettatore: andare al cinema con questo film significa sedersi in un angolo del bosco di Lake Washington, nascondersi dietro le tende di un’enorme villa di primo novecento, strasene in piedi sopra un mucchio di foglie secche o accucciarsi su un albero fissando un capanno degli attrezzi.

   La prima canzone arriva dopo quaranta minuti di cascate, foglie al vento, passi nel fango. Con un segno preciso. Un’irruzione secca, documentaristica, appoggiata al senso cinematografico dell’unico carrello di tutta la pellicola. Dunque capisci: Van Sant mostra (senza raccontare) la storia di un cuore malato (zitto, affaticato, impenetrabile). Quando decide di narrare (usando gli stessi loop temporali di Elephant) lo fa per complicare tanto quanto, nella strage di Columbine, dava chiarezza al succedersi degli eventi.

   La scelta di non usare i nomi originali ha due motivi: #1 levarsi di torno il fiato pesante di Courtney Love. #2 LAST DAYS di Gus Van Santastrarsi dalla verità storica del personaggio e dalle regole del biographic. Dice il regista: “Il film è solo ispirato alla vicenda di Kurt Cobain […] L’ispirazione per Last Days non viene dall’evento in sé, ma dalla profonda attrazione per quei giorni segreti che hanno contagiato il mondo”. La pellicola non contiene nessun brano dei Nirvana. L’indimenticabile Venus in Furs di Lou Reed è il leit motiv, Death To Birth (scritta dallo stesso Michael Pitt) è il pezzo bandiera dello spirito grunge di Black/Cobain, il resto è a cura di Thrurston Moore dei Sonic Youth.

Last Days è consigliato solo a chi ama le avventure. Ed è consigliato a chi ama le domande senza risposta. A chi pensa che dietro ad ogni immagine se ne nasconda sempre un’altra, e poi un’altra e un’altra ancora. All’infinito.

 

Antonello Schioppa