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KILL BILL Volume 1 visita la gallery    Kill Bill Trivia

   

Regia: Quentin Tarantino

Interpreti: Uma Thurman, Vivica A. Fox, Lucy Liu, Daryl Hannah, David Carradine, Michael Madsen, Micheal Jay White, Chia Hui Liu, Chiaki Kuriyama, Sonny Chiba

Sceneggiatura: Quentin Tarantino

Fotografia: Robert Richardson

Scenografia: Yohei Taneda, David Vasco

Costumi: Kumiko Ogawa, Catherine Marie Thomas

Musiche: RZA

Montaggio: Sally Menke

Produzione: Lawrence Bender,Quentin Tarantino per Miramax Films/A Band Apart/Production I.G./Super Cool Manchu

Paese: Usa Anno: 2003

Durata: 111'

Distribuzione: Buena Vista International Italia

Sito ufficiale: www.kill-bill.com

Sito italiano: www.buenavista.it/killbill

   

"Questa pertica succhiacazzi è viva!"

 

La sposa risorge dalle ceneri, torna dal limbo in bianco e nero in cui l’aveva precipitata chi, forse per una scellerata forma d’amore ("Mi trovi sadico?", dice Bill proprio all’inizio), era quasi riuscito ad annientarla. Di lei conosciamo appena il nome in codice (Black Mamba, ex componente del Deadly Viper Assassination Squad), poiché un ‘beep’ copre puntualmente quello vero ogni volta che qualcuno apre la bocca per pronunciarlo. Ebbra della propria tragedia, la sposa reclama sangue, vola fino ad Okinawa per avere una spada forgiata dal maestro Hattori Hanzo (il Sonny Chiba di Shadow Warriors) e da lì in una Tokyo radiografata in un accumulo di colori acidi, trasformata in una perfetta eroina manga nella tuta gialla di Bruce Lee fino a sottolineare il corpo dell’immagine anziché quanto essa rappresenta.

Cartoni animati per adulti sempre bambini: non erano così anche True romance e Natural born killers, scritti rispettivamente per Tony Scott e Oliver Stone? È il cinema, qui incarnato dalla bellezza snodabile di Uma Thurman, a riprendere vita e strada (la stessa del godardiano Pierrot le fou, viene da pensare) invocando vendetta come il Lazzaro di Ciprì e Maresco in Totò che visse due volte. Nessun ordine, nessuna regolarità resistono in questa incantevole storia dimezzata per necessità distributive subito diventate parte integrante del gioco tra il regista e gli spettatori.

Annullati i passaggi intermedi, il rigore imposto da limiti spazio-temporali, da sceneggiature più ferree (Jackie Brown), la visione di Quentin Tarantino si schiude, al quarto tassello di una parsimoniosa filmografia, nell’evocazione di tutti i generi amati e divorati nel corso di un apprendistato da stracciabiglietti in un cinema porno di Torrance, California (prima) e in veste di commesso in una videoteca (dopo). È il sabba del ritrovarsi/rimutarsi in se stessi attraverso questi spettri di celluloide degli anni ’60-’70: Leone, Kenji Misumi, Ted V. Mikels, Toshiya Fujita, Burt Kennedy e, ancora, Hitchcock, Truffaut, Argento, Fulci addizionati ad altre presenze che arrivano dalla televisione, dai fumetti e dalla musica (alla maniera delle opere precedenti, Kill Bill è potenzialmente anche un musical senza esserlo davvero), come pure da altri, contemporanei ‘amici d’orientè quali Kinji Fukasaku (la scena in cui Go Go Yubari/Chiaki Kuriyama castra il nerd agganciato in un bar arriva dritta da Battle Royale) e Takashi Miike.

Purezza ingenua, nitore poetico che aumentano visceralmente la distanza dal prodotto standard ‘garantito’ dove non sono ammesse libertà e stravaganze soprattutto quando si gioca sul registro epico. Rilettura critica delle forme e dei modi utili a raccontare un incontro (un duello mortale a fil di spada, l’ingresso del singolo in una comunità violenta, come accade ad O-Ren Ishi/Lucy Liu). Attenzione ipertrofica, lisergica e vorticosa come quella di Jean-Giraud Moebius per il dettaglio, la permeabilità dei corpi, la pelle delle cose: una zanzara punge la bella addormentata che al risveglio riscopre l’orrore sepolto nel dedalo del sonno. Pugni, ferite da taglio, penetrazioni (il proiettile in testa, gli abusi perpetrati dal sordido infermiere e dai suoi clienti). Altra polpa prelevata da ogni zona dell’immaginario che cola dallo schermo: sangue che sprizza dal retroterra dell’ irreale cinematografico per l'innesto di frammenti ("l’oggetto di quest'opera, e anche il suo stile, è il morceau" direbbe Derrida), scorie, residui di un cinema che non c'è più.

Quattro mesi ancora, prima di vedere il Volume 2. E nel frattempo aggirarsi senza meta disorientati tra altri titoli, altri appuntamenti al cinema (ma non con il Cinema) con la voglia di placare l’astinenza bruciante o disertare.

 

Nino G. D’Attis

sul web: www.tarantino.info
                www.abandapart.com