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Resident Evil

 

Nazione: Germania/GB/Usa

Anno: 2002

Regia: Paul Anderson

Sceneggiatura: Paul Anderson

Interpreti: Milla Jovovich, Michelle Rodriguez, Eric Mabius, James Purefoy

Musiche: Marco Beltrami, Marilyn Manson

Produzione: Paul Anderson, Jeremy Bolt, Bernd Eichinger, Samuel Hadida

Distribuzione: Columbia Tristar

Durata: 1h 40' 

Sito ufficiale: www.sony.com/residentevil

Solito ‘incidentè di laboratorio, solito casino da ripulire: il burlone di turno ha sparso un virus creato in vitro (a scopi militari, che altro?) provocando una mutazione nei pacifici impiegati al servizio della Umbrella Corporation. Gente già incarognita dalle angherie dei boss, dalla routine di tutti i giorni nel claustrofobico spazio di una cittadella nascosta 600 metri sottoterra, onesti padri di famiglia dal colletto della camicia inamidato, brave segretarie...ordinary people, insomma. Li immagini deprecare gli eccessi di Marilyn Manson, definirlo un depravato, un pessimo esempio per la gioventù americana, salvo poi vederli all’attacco, vivaci come pitbull sulle note dei brani scritti appositamente dal Reverendo per la colonna sonora. Uno spasso! Fosse stato per loro, il film avrebbe dovuto chiamarsi (P)Resident Evil e sfoggiare sulla locandina la faccia da nerd ultramiliardario di Bill Gates (pensate: ufficialmente la Umbrella si occupa di computers). Poi c’è Alice (nomen omen): ha perso la memoria e non ricorda quasi niente del suo passato. Schegge brevi, nient’altro. "Ho sfilato per Chanel? Ho recitato accanto a Bruce Willis? Ho sposato Luc Besson? Sono stata Giovanna D’Arco? Sono mai stata grassa?"

Uscita dalla doccia, Alice si veste come se dovesse andare ad un rave aziendale in cui tutti ci hanno dato un po’ troppo dentro con le sostanze chimiche. Da un certo punto di vista è proprio così: musica a palla, cadaveri semoventi che si agitano ed hanno serie difficoltà ad articolare una frase che sia una, scenografie da urlo (bellissimo il corridoio-trappola che porta alla stanza della Regina). A rovinare l’happening impiegatizio arriva una pattuglia di duri equipaggiati a dovere: tripudio fetish nelle lucide tute rigorosamente black, artiglieria pesante, modi bruschi da caserma (mai che ti facciano vedere uno straccio di tesserino mentre ti ordinano di seguirli).

Chi ha combinato il casino? Il sospetto è che tutto sia partito da quelli del movimento No Global. Poco male: vediamo come funziona questo virus, se c’è qualcosa da migliorare per renderlo più potente.

Il primo punto a favore di Resident Evil riguarda il sollievo che si prova uscendo dal cinema. Paul Anderson (quello di Event Horizon e Mortal Kombat, non il Paul Thomas Anderson di Boogie Nights e Magnolia) è riuscito – non si sa come, poiché non è Carpenter e neanche Romero – a dirigere un piccolo film dal budget enorme. Non un capolavoro, piuttosto una pellicola che, pur appartenendo dichiaratamente al nuovo filone cinematografico (parola d’ordine: sfruttiamo all’osso comics e videogames), se dovesse riscuotere un successo planetario aprirebbe di sicuro un varco proprio al George Romero che da anni cerca finanziamenti per realizzare il quarto capitolo della saga dei morti viventi (titoli provvisori: Dusk of the Dead o Twilight of the Dead).

Sulla carta, il progetto Resident Evil non era pane per Anderson: tralasciando la fonte (un videogame, proprio come Mortal Kombat), la sfida acchiappa-spettatori consisteva nel riportare sul grande schermo le tipiche atmosfere dell’horror anni Settanta, oggi atrocemente cannibalizzate da teen-movies patinati ed anemici, da prodotti censurati alla fonte in previsione dei quasi immediati passaggi televisivi. Ancora, credo che i creatori dell’omonimo videogame abbiano sempre avuto un debito enorme nei riguardi del grande Richard Corben (sempre anni Settanta, ma stavolta il terreno è quello dei fumetti) e che di tale debito il regista abbia tenuto più o meno consapevolmente conto nel mare già vasto di citazioni (il Carpenter di Fantasmi da Marte; Alien – La Clonazione; The Crazies e ovviamente l’intero ciclo romeriano).

Paragonato al resto del luna-park (X-Men; Star Wars- Episodio II, Spider-man) Resident Evil è un baraccone che si lascia guardare, tra buoni movimenti di macchina, un inizio in crescendo, un finale classico (anche questo carpenteriano) che ovviamente mette in allerta lo spettatore: non è mica finita qui, c’è il sequel.

In altri tempi e in altre mani, Resident Evil avrebbe trasudato trippa e sangue in dosi extra, ma i vecchi tempi sono lontani e persino Wes Craven ha provato a giocarsi la carta mainstream assoldando Meryl Streep. Anderson merita una medaglietta al valore per l’impegno profuso nel dosare gli effetti speciali e nell’aver preso ripetizioni dai maestri dell’horror che fu.

(V.L.)