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          | AMERICAN PIE 2 
 di Valentina Soluri I
            quattro ragazzoni che un anno fa erano finalmente riusciti a
            scoprire il
 sesso tornano alla carica. Ormai sono al college, tutto è cambiato,
            ma una
 volta a casa per le vacanze si accorgono che nessuno di loro è
            riuscito a
 dimenticare la vecchia fiamma del liceo: così Jim si fa dare
            lezioni di
 seduzione dalla flautista Michelle in attesa del ritorno
            dell’agognata
 Nadia; Kevin e Vicky si sono lasciati ma cercano di rimanere amici;
            Chris e
 Heather sono ancora fidanzati ma devono accontentarsi di fantasie
 telefoniche spesso - interrotte dagli amici -  causa
            lontananza; Finch
 si dedica al tantra e continua a struggersi nel ricordo della mamma
            di
 Stifler. Lieto fine garantito per tutti, e finalmente alcuni di loro
 capiscono che oltre al sesso c’è anche l’amore.
 Ennesimo capitolo di quel filone (egregiamente) iniziato da Animal
            House e
 proseguito male dai Porky’s, figlia naturale di Tutti pazzi per
            Mary,
 la saga di American Pie approda al sequel (non c’è teen-movie che
            si
 rispetti senza sequel) e ripropone tutti i personaggi e le
            situazioni della
 prima volta. Concentrati, adesso, sulla seconda volta: ovvero come
            se la
 caveranno i nostri beniamini una volta superato il vergognoso
            scoglio della
 verginità. Il soggetto, che si svolge interamente tra feste sulla
            spiaggia e
 scherzi da scuola media, ha il grande pregio di dedicarsi
            interamente alla
 risata dello spettatore, e di riuscire a scatenarla con la pura
            forza
 dell’idiozia: le situazioni proposte sono a tal punto imbarazzanti
            e
 comiche che persino il più ghezziano dei cinefili intellettuali non
            potrebbe
 trattenere il sorriso e la comicità è tutta affidata al visivo, così da omaggiare la
            migliore tradizione, dai Marx ai Monty Pyton. Certamente, dove la gag viene a
            mancare (ed è soprattutto durante il secondo tempo, troppo concentrato
            sulla chiusura romantica delle storie d’amore), emerge invalicabile una
            stupidità strutturale poco sopportabile; e si pensa che ancora una
            volta il primo film è sempre meglio del secondo. Ma forse è una vera
            fortuna, che non si cerchi nemmeno un cosiddetto messaggio, seppur il più
            elementare: sono fin troppi i film ugualmente stupidi ma con  delle
            pretese di profondità. Almeno qui si ride e basta, e si ride davvero, se si
            ha il coraggio di ammetterlo.
 sito
            ufficiale
            
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          | SANTA MARADONA             di Valentina Neri Due ragazzi, un appartamento, dozzine
            di colloqui di lavoro andati male ed un titolo enigmatico: Santa
            Maradona. L’opera prima di Marco Ponti se non avesse una discreta
            regia e uno straordinario co-protagonista (Libero De Rienzo) sarebbe
            tutta qui, nella storia, non originalissima, di Andrea e Bart, due
            neolaureati che non hanno voglia di assumersi le loro
            responsabilità e rimandano quotidianamente l’entrata nel mondo
            del lavoro. Il film mescola storie d’amore, piccoli guai e le
            passioni dei nostri eroi (il calcio, i fumetti, i titoli di coda dei
            film, le storie strambe, i libri…i furti) in modo non omogeneo e
            neanche troppo serio. Quello che ne viene fuori è un simpatico
            quanto raffazzonato fumettone che non riesce a mescolare due generi:
            da una parte emerge lo spirito brillante delle gag e delle battute
            sempre pronte di Libero De Rienzo, e dall’altra il taglio
            esistenzialista delle vicende di Stefano Accorsi, idealmente
            innamorato della Sincerità, e realmente incapace di sopportarne il
            peso. E anche se Accorsi è meno impostato del solito, Santa
            Maradona trova lo slancio solo quando sulla scena appare De Rienzo,
            vero protagonista di un film che, per non risultare poco
            interessante, ha perso di vista la sua vera essenza, quella
            puramente comica, a vantaggio di storielle d’amore poco
            interessanti. Come i loro interpreti. Il risultato è un film
            indefinito come il suo titolo: curiosa sgrammaticatura, verso di
            Manu Chao, e nessuna delle due cose. Esattamente come Santa Maradona
            che non è una commedia, né un film sentimentale, ma qualcosa
            incastrato (purtroppo) nel mezzo.               
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