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BRET EASTON ELLIS: Lunar Park

(Einaudi, pp. 336, € 18,00; traduzione di Giuseppe Culicchia)

 

BRET EASTON ELLIS: Lunar Park

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È tutto vero, ed è tutto falso: si potrebbe riassumere così il quinto romanzo di Bret Easton Ellis ottimamente tradotto in italiano (e a tempo record) da Giuseppe Culicchia. Ma sarebbe come non aver detto niente, questo è certo. Meglio affrettarsi ad aggiungere senza mezzi termini che Lunar Park è un’opera d’arte di altissimo livello e, al tempo stesso, il capolavoro assoluto di uno scrittore talmente grande non solo sul piano della notorietà che, come ha osservato The Baltimore Sun, ormai “needs no introduction”.

   Verità. Finzioni. Mezze verità. Confessioni di un ex ragazzo prodigio degli anni Ottanta: un viaggio nei paraggi dell’anima di Mr. Ellis. L’uomo e lo scrittore pericolosamente fusi insieme, ben mescolati a una folla di facce vere e inventate: Keanu Reeves, Robert Downey Jr, David Duchovny, Jay McInerney (a proposito: a quando il suo ritorno in libreria?), Robert Martin Ellis, Jayne Dennis e molti altri.

   Sono trascorsi sei anni dal precedente Glamorama e non credo che nessuno, detrattori compresi, si aspettasse un libro del genere. Non l’epigrafe tratta da Panama di Thomas McGuane: “Il rischio professionale di fare di te stesso uno spettacolo, sulla lunga distanza, è che a un certo punto anche tu compri un biglietto d’ingresso”. Neanche la lunga introduzione/prologo aperta dalla frase «Sei una perfetta caricatura di te stesso», incipit doloroso, obliquo che schiude una piena inarrestabile di ricordi personali (gli esordi, la gloria meritata eppure prematura, gli eccessi con tanto di docce di Dom Pérignon e boliviana da sniffare, la patente di pornografo acquisita all’alba dei Novanta). Meno che mai un romanzo di romanzi, poiché dentro le oltre trecento pagine di Lunar Park trovano posto tanto i personaggi di American Psycho (ebbene sì, Patrick Bateman è tornato!) quanto un omaggio ad Edgar Allan Poe e allo Stephen King de La Metà oscura. Si potrebbe addirittura leggere il nuovo lavoro di Ellis come un esperimento di remix letterario del classico kinghiano: lo scrittore e i suoi pericolosi fantasmi di carta in una città del Nordest sufficientemente vicina/lontana dalle mille luci di New York (e dall’epicentro paranoide post-attacco al World Trade Center). Citazioni da Cujo e Shining, un party di Halloween con colonna sonora che passa per Time of the Season degli Zombies e Superstition di Stevie Wonder, ospiti travestiti da Anna Nicole Smith, vassoi di nachos, capsule di Super Vicodin, Xanax, Zyprexa.

   Ellis artefice di satire feroci: il tossico, il padre inaffidabile che descrive un’America di bambini, teenagers, adulti dipendenti dagli psicofarmaci; una nazione vittima di mostri partoriti dal suo stesso ventre: “Ovunque si vendevano giubbotti antiproiettile, perché a un tratto erano comparsi nugoli di cecchini; la polizia militare che stazionava a ogni angolo non dava alcun conforto, e le telecamere di sorveglianza si rivelavano inutili. C’era un numero talmente alto di nemici senza volto – all’interno del paese e all’estero – che nessuno sapeva contro chi stessimo combattendo o perché.” E poco più avanti: “Jayne desiderava crescere figli dotati, disciplinati, ambiziosi, ma aveva paura praticamente di tutto: dei pedofili, dei batteri, dei fuoristrada (ne possedevamo uno), delle armi, della pornografia, della musica rap, dello zucchero raffinato, dei raggi ultravioletti, dei terroristi, di noi stessi.”

BRET EASTON ELLISEllis, scrittore che riflette sul significato dell’atto creativo: dal privato al pubblico, in una cornice che è quella della ghost story ma con un nucleo centrale in cui, proprio come in King, è il processo della scrittura ad essere oggetto di una dissezione critica attuata col bisturi dell’autobiografia. "The “truest” book I’ve written, in terms of the majority of events that happened”, dice l’autore. Ad una prima parte vertiginosa quanto l’intero Glamorama, con punte ferocemente (auto)ironiche - incluso un quarto capitolo dedicato al fantomatico romanzo porno dall’improbabile titolo Figa minorenne – seguono i toni drammatici che accompagnano la discesa dell’irrequieto personaggio Bret nell’angoscia che gli scatena la scoperta della paternità. Bret, figlio di un padre assente, scomparso nel 1992 in circostanze poco chiare. Bret, genitore famoso dell’undicenne Robby, ragazzino introverso quasi sempre chiuso in una stanza “(…) arredata secondo un tema spaziale: decalcomanie di pianeti e comete e lune erano incollate su tutte le pareti per dare l’illusione di fluttuare in un cielo nero nello spazio profondo.” È in descrizioni come questa che si nasconde lo straziante significato del titolo: straziante perché per la prima volta, lo scrittore Ellis tocca tasti segreti, particolarmente delicati, e riesce a commuovere i suoi lettori fino alle lacrime.

   Ieri si manifestava cinico, distaccato; oggi ripensa l’umano conservando una visione disperata della società alla maniera del Ballard di Crash e di Millennium people, del Mailer de I Duri non ballano. Lo scrittore è nudo,   Lunar Park è un dono. Mi auguro soltanto che Bret Easton Ellis abbia mentito spudoratamente quando ha parlato di questo libro come il suo ultimo romanzo, l’opera che dovrebbe precedere la sparizione dello scrittore sul lato oscuro della luna.

 

Nino G. D’Attis

 sul web:  www.notanexit.net , www.jayne-dennis.com , www.lunar-park.com