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GIUSEPPE GENNA: Dies Irae (Rizzoli, pp. 762, euro 17,50)

 

GIUSEPPE GENNA: Dies Irae

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Siamo storie, sacche di ricordi collettivi e memorie strettamente private sempre in orbita, files interi o frammenti di files che all’occorrenza possono intersecarsi, interagire, generare altre vicende memorabili o banali a seconda dei casi, dei punti di vista.

   È affascinante. È crudele. È necessario, se penso ai buchi neri che inghiottono e risputano fuori fatti veri e immaginari, se penso a quest’ultimo libro di Genna come a un lavoro imponente e vivo, un’esperienza complessa e necessariamente immodesta che arriva a poca distanza da L’Anno luce (Tropea, 2005) per inserirsi a buon diritto tra i titoli che lasceranno un segno nella storia della produzione letteraria di questi anni. 

   “Giorno d'ira, quel giorno / si dissolverà il mondo nelle fiamme / come predissero Davide e la Sibilla.”

   Il Dies Irae è una forma di canto liturgico medievale (testo e musica sembrerebbero attribuibili al frate francescano Tommaso da Celano, discepolo e biografo di Francesco d'Assisi) che descrive il giorno del giudizio, la tromba suprema che raduna le anime davanti al seggio di Dio. Si intona durante la messa di rito romano per i defunti e ingloba una figura prettamente cristiana (David, successore di Saul al regno di Israele) e una figura pagana (la Sibilla Cumana). Di Apocalisse sulla terra e di ombre che brancolano o avanzano a seconda dei casi sullo scenario del disastro, si narra in un’opera che agli occhi del lettore appare come un Big Bang, un’espansione che lascia un rimbombo sotto forma di radiazione fossile, di emanazione cosmica di fondo: Licio Gelli, Raul Gardini, Paolo Pillitteri, Bettino Craxi, Moana Pozzi, Enrico Cuccia, i fratelli Berlusconi, Massimo De Carolis (combattente anticomunista, leader della Maggioranza Silenziosa, esponente di Forza Italia, tessera numero 1815 della Loggia massonica P2), il Muro di Berlino, i Kraftwerk, il Cossiga picconatore, la stagione della trance e delle pasticche, la bomba al Pac di Milano, i pensieri, le azioni, i tormenti di Paola C, vittima di un trauma spaventoso, tossica a Berlino e ad Amsterdam; dell’algida Monica B., figlia di un industriale milanese e di suo marito Massimo B., rampante direttore di una società di format televisivi; di Jonathan Aberdeen e Luigi Darida, pedine dei servizi segreti; di Genna Giuseppe, uno che riflette: “È una vita che trascorro tempi vuoti in bar sconosciuti, generalmente semideserti, accomodandomi ai tavolini in fòrmica ad ascoltare i vecchi, piagati e imbambolati, che urlano al gioco delle carte o esprimono giudizi degni di un Paese in disagio mentale.”

   Tutto in “un libro che tende a superare la somma delle sue componenti...”, un romanzo che attraversa venticinque anni di cronache pubbliche, private, reali, inventate dal 12 giugno del 1981, giorno che segnò l’atto di nascita della Tv del dolore italiana mediante la diretta sconvolgente/allucinatoria dell’agonia di Alfredino Rampi a Vermicino, fino al febbraio del 2006, ovvero poco prima che il manoscritto andasse in stampa. Un’epopea di oltre settecento pagine che incrocia strade impossibili (l’uomo di una certa età che offre sigarette turche come ne L’Era del cinghiale bianco di Franco Battiato; l’ambiguo Michel H., figura  che a molti ricorderà un celebre scrittore d’oltralpe) e che, come se non bastasse, contiene schegge di un’opus magnum dallo stesso titolo, di un metalibro a carattere fantascientifico plasmato sulla struttura delle Argonautiche, viaggio di Giasone (anti-eroe incapace di agire e di decidere, nella visione dell’alessandrino Apollonio Rodio) e dei suoi compagni sul Mar Egeo fino alla Colchide,  paese in cui è custodito il Vello d'Oro. Genna assicura che il non-libro non verrà mai pubblicato integralmente e forse dice il falso, forse no, possiamo solo fidarci del qui ed ora, delle parole di uno scrittore che (la connessione si palesa solo adesso), già alcuni anni fa aveva offerto un antipasto del Dies Irae in Assalto a un tempo devastato e vile (Mondadori, 2002), piccola prova generale, prequel, collaudo per il monstre futuro.

   Amore, morte, tragedia e commedia: ecco la letteratura, gli ingredienti dell’affabulatore. Le storie sono ossessioni, soprattutto per chi scrive: lo scrittore è un vampiro ingordo che succhia linfa preziosa dagli altri o, detta meno romanticamente: «Lo scrittore è una bestia che abita la retroguardia della specie. La osserva da dietro, per meglio pugnalarla alle spalle.» Dies Irae è anche questo, in passaggi dirompenti (“La mia vita fa schifo. Non è nemmeno una fase della vita, ormai. È una vertigine, una vibrazione visiva e cieca, una sigla robottica che si reitera empiamente. Guardo, osservo, memorizzo. Ho un’identità. Sono lo scrittore Giuseppe Genna.”), in un pubblico riferire del potere della narrazione seguendo le rotte tracciate da Norman Mailer, Don DeLillo, Bret Easton Ellis.

   Si toglie il guscio, si scava sotto la superficie delle cose alla ricerca del non detto e dell’indicibile mostrando fallimenti, escoriazioni, le ferite profonde: la dissoluzione che (spettacolo inseparabilmente orrendo e comico) ci tocca tutti.

   Affascinante. Crudele. Necessario.

 

Nino G. D’Attis