Home | back  | AA.VV. Tu quando scadi? | Will Christopher Baer | Boosta | Davide Bregola | William Burroughs | Catastrophe | Antonio Bufi/Luca Moretti | Mario Desiati | Stella Duffy | Breat Easton Ellis | Saverio Fattori | Speciale Gian Carlo Fusco | KaiZen & Emerson Krott | Michel Houellebecq | Giuseppe Genna | Joe R. Landsdale | Cormac McCarthy | McNeil - McCain | Aldo Nove | Chuck Palahniuk:Cavie | Chuck Palahniuk:La Scimmia... |  David Peace - GB84 | Angelo Petrella | Andrea Piva | Gregory David Roberts | Paolo Roversi | Giambattista Schieppati | Stefano TassinariTom Wolfe | Wu Ming 5Ugo Tognazzi | Dalia Nera | Archivio letture  

Racconti: Anche Wess vuole la sua parte | Benedetti siano i vermi | CloserHai Dozo | La notte in cui scopai la figlia di Sammy Barbò Mai più lacrime | Marmulak il vendicatore | Memoria | ZZZ

 

TOM WOLFE: Io sono Charlotte Simmons

(Mondadori, pp. 777, € 22,00; traduzione di Marta Matteini)

 

L’evento si ripete più o meno ogni otto-dieci anni: Tom Wolfe manda in libreria

TOM WOLFE: Io sono Charlotte Simmons

Ordina da iBS Italia

un nuovo romanzo e la marea sale, le riviste più vendute del pianeta fanno a pugni per avere l’uomo vestito di bianco in copertina, i decani della critica letteraria hanno un’erezione senza ricorrere al Viagra o al Cialis, gli Studios di Hollywood si interessano alla trama.

   L’uomo di Richmond, il grande vecchio del ‘New Journalism’ tira ancora. Meglio se, a sorpresa, questa volta ha scelto di ignorare  impudentemente la sua età anagrafica (74 primavere) al fine di proiettarsi tra i giovani di un prestigioso quanto immaginario campus americano. La Dupont University, fondata più di un secolo fa in Pennsylvania da Charles Dupont, “re della tintura artificiale e collezionista d’arte, senza nessuna parentela con i du Pont del Delaware” è la solenne cattedrale della cultura universitaria americana, il luogo in cui approda la giovane, timida Charlotte nata e cresciuta tra i bifolchi di Sparta, Alleghany County, sulle colline occidentali del North Carolina. Laggiù, ci dice Wolfe, “Non ci sono centri commerciali, cinema e neanche agenti di cambio.” Laggiù, nei pressi di quel New River forse scoperto da un cugino di Thomas Jefferson e ritenuto dai paleontologi tra i due o tre fiumi più antichi del mondo, c’è la Provincia perduta, terra che ha tra le sue poche risorse gli alberi di Natale, i fanatici del golf e il turismo estivo.

   Charlotte Simmons, figlia di povera gente che abita in una piccola casa di legno al 1709 di Country Road, Sparta, ha vinto una borsa di studio alla Dupont e presso i suoi concittadini è diventata una star. È andata a Washington e ha cenato alla Casa Bianca con il Presidente. È una ragazza brillante e anche molto carina che tuttavia non sa quasi nulla del mondo e degli uomini. Vergine in tutto e per tutto (l’ultima vergine americana, sembra suggerirci l’autore), impreparata ad affrontare la selva oscura di una vita sostanzialmente diversa da quella descritta nei libri che ha divorato. Non sa, Charlotte, che alla Dupont i ragazzi e le ragazze della sua età si danno parecchio da fare. Non sa che nel bosco che circonda quella fortezza tutta guglie, torri e torrette, un anziano governatore venuto in visita dalla California è stato sorpreso nottetempo da due studenti ubriachi (Vance e Hoyt, quest’ultimo personaggio chiave della storia) mentre saggiava personalmente le doti orali di una signorina in shorts e maglietta.

   Charlotte Simmons è come Biancaneve. Forse più ingenua, azzardiamo. Charlotte è una che non la dà. Charlotte è un altro straordinario personaggio usato dallo scrittore de Il Falò delle vanità e di Un uomo vero per parlarci dell’America alla sua maniera. Ancora una satira, perché Wolfe è, sia chiaro, un grande autore di satire o, meglio, tra i quattro grandi autori di satire che l’America contemporanea abbia donato alla letteratura mondiale. È in ottima compagnia, dal momento che gli altri tre sono, in ordine di apparizione, Thomas Pynchon, Bret Easton Ellis e Chuck Palahniuk. Un gigante tra i giganti, uno scrittore che ha l’enorme pregio di non annoiare mai i suoi lettori, neppure quando si lancia in dettagliate, quasi maniacali descrizioni dell’ambiente sportivo americano (qui è il basket, con Tom Wolfegiovani promesse come Jojo o il nero Curtis Jones, abbastanza simili per ignoranza, ambizioni e inevitabili pressioni dall’alto ai nostri assi del calcio). E lavora sulla lingua, alacremente. Scava, indaga, scarta tutto ciò che risulta passato, inattuale, fuori dal gergo dei ventenni americani: illuminante a tal proposito la nota/dedica Ai miei due studenti a pagina 7 del libro. Un appunto che ci mette a parte di un segreto, di uno strumento prezioso che scrittori come Wolfe o Elmore Leonard (mediante l’aiuto del fido assistente Greg Sutter) sfruttano per districarsi dalle maglie dell’età anagrafica: se hai gli acciacchi, se hai paura di essere “out”, manda fuori dei segugi, impossessati delle ultime forme assunte da quella bestia mutante che è il linguaggio, raccogli comunque informazioni sull’universo che vuoi descrivere nel tuo prossimo romanzo. L’idea dell’autore-demiurgo è una cazzata. L’onnipotenza dello scrittore è una balla spaziale. Lo scrittore è una spugna, ha il dovere di comportarsi come una spugna anche quando (sporadici casi) è maledettamente astemio. Lo scrittore organizza squadre di soccorso, slitte tirate da cani addestrati per spingersi più avanti, sfidare le intemperie e raggiungere le cime più impervie. È così che, come nel caso dei giovani neri di Un uomo vero, anche gli studenti della Dupont sono “autentici” studenti americani: bevono ettolitri di birra, ruttano, ascoltano rap, si accoppiano, imprecano, si circondano di gadgets hi-tech e quando avvistano una tipa come Charlotte si comportano come i prescelti per un incontro ravvicinato del terzo tipo con una creatura piovuta giù dallo spazio profondo.

  “Sesso, sesso! Si respirava ovunque, insieme all’azoto e all’ossigeno! Tutto il campus era sempre pronto, inumidito e lubrificato! Si ingozzava di sesso! In un arrapamento continuo!”

   Io sono Charlotte Simmons spara potentissime, impagabili bordate contro il vizio, la falsa etica del politically correct americano. È il grottesco recuperato (da una tradizione che oggi sembra largamente affossata proprio dal politicamente corretto) a beneficio di lettori disposti a partecipare al gioco di un’ironia feroce che non risparmia neri, intellettuali ebrei, divinità dello sport, futuri pilastri della società statunitense.

   Un romanzo acuto e divertente. Che altro vi aspettereste da Tom Wolfe?

(N.G.D’A.)