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CHEMICAL BROTHERS: Push the button (Virgin/Emi)

 
CHEMICAL BROTHERS: Push the button

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Passano gli anni, i dischi, il numero di chilometri macinati per portare il Verbo ovunque, nella notte buia e pesta che attende d’essere illuminata. La luce, dove i tapini brancolano e collezionano craniate contro gli spigoli. La Parola, dove i fessi non hanno ancora imparato a tenere a freno una lingua spara- cazzate.

   Di cosa sto parlando, dite? Qualcuno sostiene che il lavoro dei Chimici Edmund Simons e Thomas Rowlands consista in realtà nel riconfezionare periodicamente lo stesso album cambiando giusto due o tre cosette. Sarà vero per il demente di turno che Push the button l’avrà ascoltato di striscio mezza volta, magari in qualche ufficio della Emi (troppo pigro per scaricarselo sulla piattaforma di casa, ci scommetto), magari mentre stava pensando di proporre al suo direttore supremo l’ennesimo speciale sulla scena ska-core italiana (tutti amici suoi). Io, l’ho già scritto altre volte: sono nettamente di parte e stravedo per questa strana coppia venuta fuori dalla magica Manchester. Vado in brodo di giuggiole per Galvanize, singolo che reca impresso il marchio vocale di Q-Tip e sfrutta alla grande un campione estrapolato da Just tell me the truth di Najat Aatabu. Per dirla tutta, da qualche settimana, Galvanize accompagna il mio alzabandiera mattutino, mi convince a muovere il culo fino al vano cucina e a prepararmi una dose come si deve di nerobollente. Il mio pezzo-sveglia, seguito da quel The Boxer  (strano forte, fateci caso, mica solo perché al microfono c’è il comeback dell’amatissimo rintronato ciarlatano Tim Burgess), probabile estratto numero due in area electro-pop psichedelico. E quando arriva Believe penso ai Prodigy. Meglio: penso alla faccia che avrà fatto quel cazzone di Liam Howlett (uno che nel corso di un recente dj set romano ha smontato un po’ le aspettative pensando di far colpo con un remix di Sting). Believe: finisce che ti trascina come niente dentro quel nero manto melodico, quell’oceano di sensualità purissima che è Hold tight London cantata da Anna-Lynne Williams. Visioni di corpi che ballano dentro un vasetto di miele, animali in amore nella savana, microtanga neri finiti (vai a capire quando/come) nel mio microonde.

   Questo è l’attimo in cui decido di riprendermi un attimo: vabbè, Come inside e The Big Jump dicono tutto fin dai titoli e in fondo i trucchetti big beat, le pestonerie geometriche, li hanno brevettati Ed & Tom, concediamo loro un riassunto veloce delle puntate precedenti (il che NON SIGNIFICA riciclare la roba passata). È l’attimo in cui posso dire che Left right è psycho-hip-hop politico in salsa inglese (voce: Anwar Superstar, fratello di Mos Def; tema: l’antimilitarismo nell’era dei presidenti criminali) e che sto pensando seriamente di usare Close your eyes come ninnananna per le serate in cui mi ritrovo solo soletto a meditare sui porci mali del mondo (presidenti criminali, ladri, grassatori, governi bastardi etc..)

   Shake break bounce: un riempitivo di seconda scelta, questo devo dirlo. Marvo Ging: riecco i Chimici dalle infinite risorse, quelli che si ricordano dell’effetto che fanno i nastri al contrario sopra un ritmo come si deve e addirittura riportano alla mente le cose migliori degli Alabama 3. Surface to air: si chiude, signori, e il sipario (oh, sì) è di finissimo velluto steso sulla Via Lattea. Soffice, narcotico, tanto avvolgente da lasciare senza fiato. Un viaggio spaziale con una dedica non scritta agli amici New Order. La luce, miei cari, dove i poveri diavoli si spezzano le corna senza capire.

 

(J.R.D.)


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