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LCD SOUNDSYSTEM: Lcd Soundsystem (DFA/Emi)

 

Eccolo qui, finalmente, il primo parto sulla lunga distanza della creatura più

LCD SOUNDSYSTEM: Lcd Soundsystem

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chiaccherata di James Murphy. Doppio, racchiuso in una copertina che definire spartana è poco, aperto da un titolo divertente/dissennato che è tutto un programma: Daft Punk is playng at my home. Come dire: un collasso verosimile al cubo. La palla di cristallo riprodotta in fotocopia ci dice chiaramente (e invano, inutilmente) che se Tony Manero è stato qui, è successo molto tempo fa, in un’altra New York, in posti  da cartolina ingiallita come lo Studio 54 o sotto il ponte di Brooklyn. I Daft Punk, ne converrete, sono più adatti a questa dimensione di home culture e realtà parallele in cui, frugando bene tra le vestigia del passato, tra feticci sentimentali, erotici, artistici, risulta fattibile rimettere insieme i cocci del futuro.

   Si è fatto un gran parlare del punk funk ritrovato, alfa e omega delle migliori speranze newyorkesi, bacchetta per rabdomanti del sottobosco indie, territorio non desolato in cui vecchie sonorità sghembe/isteriche possono germogliare a nuova vita, addirittura avere la forza di riprodursi da sole.   Parodia delle possibilità residue, scatola di giochi (di rimandi, echi, prestiti, sottrazioni, slittamenti di senso, etc.) l’esordio degli LCD Soundsystem non è rock, non è dance, non è Remain in light dei Talking Heads e neppure Louden up now dei !!! Pure, è senz’altro tutte queste cose insieme: un album che raccoglie quanto seminato sinora in una manciata di freschissimi singoli (tutti presenti sul cd 2, a partire dal fulminante Losing my edge), l’opera di un musicista talentato nei capelli che non fa niente per nascondere la sua carrettata di influenze: Eno, i Can, Bowie, i Kraftwerk, i Beatles, i primi Roxy Music, i Fall, il Prince dei tempi andati. E i P.I.L., naturalmente (il collante concettuale che lega tutto l’album sembra lo stesso usato all’epoca per Metal box). Nessuna difficoltà allora, per il signor Murphy, nel trasferire su disco i suoni che aveva in testa, magari organizzando il programma in due sezioni distinte: una prima parte più accessibile (pop?) e una seconda selvaggia e sperimentale (a meno che non siate così fuori di testa da definire Tired un classico esempio di musica per ascensori).

   Perfetto, ballabilissimo l’electro-pop criminale, da strage sulla pista da ballo di Tribulations, anticipato dall’indolente Too much love (i vecchi Liquid Liquid appostati come cecchini dietro l’angolo) e seguito dall’effetto R’n’r schiacciasassi di Movement. Gradevole il clone beatlesiano Never as tired as when I’m waking up, come pure la cavalcata disco-vintage di On repeat (beat frontale, secco e potente). Più singolari il cazzutissimo funk di Disco infiltrator e la contaminante rilettura del Brian Eno dei ’70 in Great release. Sul cd 2 fanno la loro porca figura due versioni di Yeah (già incluse nella recente Dfa compilation # 2), poi la strabiliante Yr city’s a sucker (full version). Tutto ad un prezzo onesto. Anche se su major. Anche con quello stupido Copy Control che fa ridere i polli.

 

(J.R.D.)


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