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NEW ORDER: Waiting for the sirens’ call (London/Warner)

 
NEW ORDER: Waiting for the sirens’ call

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Racchiuso come di consueto in un elegante booklet firmato da Peter Saville e introdotto dalle note cristalline di Who’s Joe? (storia di un vagabondo e citazione tutta per Hendrix) è finalmente arrivato tra noi il nuovo album dei New Order. L’ottavo (antologie escluse) del loro percorso artistico, il secondo dopo la reunion del 2001 con Get ready e i tanti riconoscimenti sul campo (tra i più recenti, il premio alla carriera ai Dance Music Awards tedeschi ricevuto il 13 marzo scorso). Di certo il disco più manifestamente pop partorito dalla band mancuniana in oltre un ventennio di gloriosa attività. Per la prima volta, poi, abbiamo un titolo lungo: Waiting for the sirens’ call che sulla copertina sormonta una grossa No tutta arancione, effetto grafico che curiosamente ricorda un po’ la E in Hegel di Lucio Battisti e potrebbe aprire le porte a una pletora di interpretazioni più o meno stravaganti.

   Altre novità in ordine sparso: la Scissor Sister Ana Matronic divide il microfono con Sumner in Jetstream, traccia numero 8 del disco e secondo singolo estratto dopo Krafty. Il pool di produttori alternatisi dietro al banco di regia include Jim Spencer, Stuart Price (o Jacques Lu Cont, o il signor Les Rhythmes Digitales), Stephen Street e John Leckie, mentre la tastierista Gillian Gilbert è stata costretta già da qualche tempo a rompere le righe: nessun dissapore con gli ex compagni a quanto pare, solo l’urgenza di accudire la figlia seriamente malata. In sua sostituzione, il chitarrista Phil Cunningham, già aiuto di Bernard Sumner all’epoca del progetto parallelo Electronic.

   Detto questo, sarà bene chiarire subito che Waiting for the sirens’ call non è affatto “un album ininfluente sul mondo circostante, significativo solo per i cultori del gruppo” come ha scritto un critico secondario sulle pagine di una rivista stimata per la sua collaudata ininfluenza sul mondo circostante. I diretti interessati lo avevano annunciato come un lavoro in bilico tra rock e techno-pop e in effetti è questo il piatto che gira nel lettore a pochi mesi da quelle dichiarazioni: un po’ più freddo rispetto a Get ready, d’accordo, costruito su andate e ritorni, su riprese e a capo da un punto all’altro della (grande) storia del gruppo. Magari vicino al mood di Technique (1989, recentemente eletto dai fans il miglior disco della formazione, davanti a Power, corruption and lies) e pertanto un album che svela la sua grazia nascosta solo dopo ripetuti ascolti (esercizio che i critici ininfluenti non si sognerebbero mai di praticare).  Così Morning night and day è un brano che può richiamare alla mente le cose migliori degli anni ’80; la title track è un gran pezzo classico, una malinconica canzone d’amore e morte che dice: “I won't desert you/I don't know what to say/I really hurt you/I nearly gave it all the way”; la lunga I told you so sfrutta abilmente un ritmo elettro-ragga e un inserto di voci femminili soul oriented mentre Dracula’s castle, il cui testo pare sia stato scritto nella sala delle torture di un maniero costruito da Henry VIII per una delle sue figlie illegittime, si apre su un bel gioco ambient tra pianoforte e sintetizzatori.

  La voce di Sumner è centrale (in qualche caso a Sumner dei New Orderscapito del celebre timbro di basso di Peter Hook). L’ispirazione sembra muoversi a tratti verso direzioni inconsuete, come nell’eco di melodie alla R.E.M. in Hey now what you doing o la conclusiva Working overtime addirittura in zona garage rock con tanto di chitarra fuzz (“It sounds a bit Stoogey” ammette compiaciuto Capitan Hooky).

   È un bel modo di guardarsi prudentemente intorno, di mutare un po’ pelle consci di avere addosso gli occhi di decine di artisti che dai New Order o dai Joy Division ammettono di aver preso in prestito o rubato qualcosa (a proposito: chiedete a Robbie Williams quale sia la fonte della sua Angels).

   La strategia è muoversi piano, senza strafare (anche con le vocine pop alla Kylie Minogue, come in Guilt is a useless emotion), lasciando che i fans della prima ora si abituino poco a poco alle novità. Non se ne ascoltano molte? Che importa? Questo è un disco dei New Order e l’unica cosa che conta davvero è il New Order style, cioè il frutto di un alleanza di cervelli che per fortuna nessuno è ancora riuscito a clonare. E non chiamateli “veterani”!

(J.R.D.)

 

www.neworderonline.com

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