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NINE INCH NAILS: WITH TEETH (Island records)

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Non so se sia un pregio o un difetto ma With teeth suona semplicemente come un dannato disco dei Nine Inch Nails. Compatto, abrasivo, intriso di melodie manipolate dal multiforme Trent Reznor.

Anche i ragazzetti brufolosi dell’ultima ora credo sappiano chi sia Trent Reznor. L’uomo che ha ossessionato le notti umide di Courtney Love. L’uomo che Madonna voleva adorare come un Apollo infernale.

Colui che ha dato vita alla creatura malvagia che qualcuno chiama il Reverendo, ma soprattutto  il progenitore del felice connubio tra metal rock e industrial che nessuno è poi riuscito a proporre in modo credibile. Una di quelle band inimitabili i Nine Inch Nails, riconoscibili dopo poche note anche grazie al fatto che l’elettronica diventa per loro un processo per raggiungere i tre stadi evolutivi della coscienza e non un semplice orpello decorativo alla Linkin Park.

With Teeth si propone come colonna sonora posturbana per anime alienate, vittime della profonda crisi d’identità che sta falciando il nostro inizio secolo. Se pensate che stia esagerando provate ad ascoltare The Collector in mezzo al traffico all’ora di punta in una merdosa quanto immensa città.

Si. Sono decisamente i Nine Inch Nails.

Cinque anni di silenzio per accumulare odio e per presentarsi ancora una volta sotto le vesti di punitori del nostro bieco individualismo e sfrenata corsa al successo.

Canzoni come Love is not enough sembrano riflessioni amare di un uomo che ne ha viste di tutti i colori ma quello che ha imparato veramente è la disillusione.

Everyday is exactly the same fin dal titolo abbozza visioni inquietanti di ripetute sconfitte e rassegnazioni. Trent Reznor del resto è stato assieme ai Rage Against the Machine l’unico a tentare di attaccare il music business dall’interno e i risultati di tale battaglia sono davanti ai vostri occhi.

Il pezzo With teeth che dà il titolo  all’album è una mazzata di ferro sui denti, pesante e minimale con bassi che sfondano casse e Reznor che urla il suo dolore.

Per quanto riguarda la "success track" scommetterei su  The Hand that feeds,  orecchiabile, travolgente  ma al tempo stesso devastante con la sua base di techno ordinata ed impietosa.

In definitiva un lavoro che concede meno spazi riflessivi e melodici rispetto a The Fragile, vedi anche la presenza alla batteria di mister metallo Dave Grohl ma che trova nella robustezza e densità il suo maggior pregio.

Trovatevi una macchina veloce. Cercate in giro roba sintetica. I Nine Inch Nails sono tornati.

È ora di farsi un giro in città.

 

 Jo Laudato


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