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IAN BROWN: The Greatest (Polydor)

 
IAN BROWN: The Greatest

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Verso la fine degli anni 80 dalle parti di Manchester ci si divertiva parecchio. Rave illegali esplosivi che duravano fino all’alba, sesso libero e selvaggio ispirato dalle leggende hippie degli anni settanta e droga a quintali, estasi soprattutto che era perfino raffigurata su magliette e spille con una specie di sole sorridente (che gli emoticons abbiano origini psicotrope?).

C’era una spiritata voglia di sperimentare in campo musicale e la disco music appariva ancora come una tabula rasa su cui lavorare. House, acid, techno vivevano la loro summer of love mentre ci sarebbero voluti ancora due anni per la nascita del drum’n’ bass. Non era da meno la scena rock con band ultra psichedeliche come gli Spacemen 3 o gli inventori dello shoegazing, i leggendari My bloody Valentie. In mezzo c’erano gli Stone Roses di Ian Brown che inglobavano gli umori e le scorie di entrambe le scene raggiungendo così le luci della ribalta.

   Due soli dischi che però valgono più di molte e folte discografie, Stone Roses e Second coming con canzoni che sono entrate nella storia della musica pop inglese come la sensuale I wanna be adored o l’anthemica This is the one.

   Beach boys, Byrds, dream pop, psichedelica a fiumi con la voce appena sussurrata dell’uomo scimmia Ian Brown e la chitarra raga-country di John Squire. Era nato il Mad-chester  sound.

   Tra i due album, cinque lunghi anni di silenzio perché il successo improvviso mise in seria crisi la band che praticamente si  autodistrusse tra problemi legali e dissidi interni. Second coming non deluse le attese e gli Stone Roses, accentuando il lato blues e spaziale del loro sound tornarono presto in vetta alle classifiche.

   Certe storie però sembrano avere un finale già scritto e nulla e nessuno impedì la rottura definitiva. Sono così iniziate le avventure soliste di Squire che assembla gli Seahorse per sfruttare al massimo il successo di Oasis e Blur ma Do it yourself è tra le cose più brutte uscite negli ultimi vent’anni.

   La band cola a picco. Fortunatamente.

   Diverso invece  il discorso per Ian Brown. I suoi quattro dischi, pur  apprezzati da molti critici e dal sottoscritto sono stati clamorosamente ignorati. A differenza di Squire, Brown non sceglie di salire sul carro dei vincitori del pop solare degli Oasis e continua il discorso iniziato con i Roses sviluppando maggiormente il suo amore per il northern soul e certo funky aperto ed ipnotico.

   Probabilmente nessuno di questi dischi entrerebbe nella vostra top list. Probabilmente sarebbe meglio recuperare solo i due dischi degli Stone Roses eppure l’uscita di questo greatest hits non è da sottovalutare con l’opportunità che offre di recuperare in un solo disco il meglio dell’artista albionico.

   Ci sono due grandi pezzi dance in compagnia di UNKLE, che piaceranno a chi di Chemical Brothers e New Order preferisce l’aspetto più rockeggiante. Ci sono tracce beat che coninvolgono anche l’ascoltatore più smaliziato come Golden gaze e Lovebug e ballate di classica tradizione britannica come Keep what you got. In generale comunque la media delle canzoni è buona e forse The Greatest arriva proprio al momento giusto, restituendoci un pizzico d’estate in questo grigio periodo autunnale.

 

Jo Laudato


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