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LOW: The great destroyer (Sub Pop)

 
LOW: The great destroyer

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La storia dei Low si sarebbe dovuta concludere un anno fa con il cofanetto imperiale Lifetime of temporary relief  tre cd e un dvd che fotografavano al meglio la poetica della band di Duluth.

Lo slow core,  iniziato dall’oscura e intensa band dei Codeine si trasformò grazie ai Low  in linguaggio folk minimale e struggente.

Come fluttuare in un oceano di luce psichica. Un’esperienza mistica.

Ammetto di essere stato tra i più entusiasti alla notizia della loro rimpatriata ma dopo l’ascolto di The great destroyer  non ne sono più tanto convinto.

Eppure il primo pezzo Monkey faceva ben sperare con la formula vincente delle due voci di  Alan Sparhawk e Mimi Parker  che  cantano insieme sopra un loop ammaliante e selvaggio.

Quasi una felice confluenza di Cure e Jesus and Mary Chain. Ma il secondo pezzo California nonostante un inizio di chitarre molto efficace che richiama alla mente i Motorpsycho periodo Blissard  si rivela un blando tentativo di fare pop solare e competente.

Con Silver rider i Low ci ricordano di essere ancora neoclassici e legati alla ricerca della malinconia in bianco e nero ma qualcosa  è andato perduto. Emerge spesso una certa malizia negli arrangiamenti, un effetto fotocopia di  soluzioni già tentate, suoni da troppo tempo abusati.

Just stand back rubacchia dall’emo di band come Jawbreaker o Samiam per poi perdersi nella voragine del fagocitante pop beatelsiano.

On the edge è forse il pezzo più chiarificatorio della duplice anima dei nuovi Low.

Da un lato fastidiosamente enfatico, imbevuto di umori sdolcinati, dall’altro il solito ma  pur sempre straziante duetto di voci che diviene protagonista quando la musica si placa.

Come dire: non sanno più scrivere canzoni come una volta ma sanno ancora come interpretarle.

La sensazione non si placa nemmeno con la pastorale e acuta Cue the strings resa palpitante da un organetto in sottofondo o con The step canzone da deja vu infinito e che conferma una ricerca di melodie accattivanti nella direzione sbagliata.

Si può supporre che i coniugi mormoni Mimi e Alan con la nascita di un figlio quest’estate abbiano cambiato radicalmente l’approccio alla vita ma sorge anche il dubbio che cambiare pannolini e allattare il pupo abbia prosciugato un po’ la loro ispirazione.

The great destroyer non soddisfa e tradisce le aspettative nonostante il passaggio alla Sub Pop, che avviene sicuramente in un ottimo momento visto la grande rinascita attuata dall’etichetta in questi ultimi anni e garantirà alla band un’ottima distribuzione europea grazie alla Rough Trade. Altrettanto poco convincente la produzione di David Fridmann (Flaming Lips, Mercury Rev) probabilmente non completamente a suo agio con una band meno orchestrale rispetto alle sue solite collaborazioni.

 

Jo Laudato


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