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DEATH IN VEGAS: Scorpio Rising (Concrete/Bmg)

 

DEATH IN VEGAS: Scorpio RisingChitarre, sitar e piatti che girano: l’universo brit-rock visto da un buco nero. Dove Ayia Napa ed Ibiza incrociano le strade di Detroit e Bombay. Dove osano i Chemicals, i Massive Attack ed i Primal Scream. Dove l’immaginario underground anni ’70 (suoni, letture, visioni), passa attraverso il filo che lega l’elettronica vintage dei Can all’indie-dance di Manchester.

Musica da camaleonti. Cambiare la semantica del rock sfruttando gli elementi che costituiscono il passato e il presente del rock stesso. Il programma è già nel nome, invidiabile caleidoscopia della Fine: la Morte a (Las) Vegas, pensando ad Elvis Presley, ex camionista avanzato ad idolo di una generazione che lo brama istericamente. Elvis morto e risorto, icona pop warholiana che diventa graffito urbano, revenant familiare e sinistro a milioni di persone. Nulla è più (Pop)ular di una stella grassa che continua a brillare postmortem rilanciando la ben nota frase di Philip K. Dick: “Voi siete morti e io sono vivo”.

   Un’uscita ogni due o tre anni e tanta attesa tra un disco e l’altro per chi ha scoperto il progetto creato dal grafico/dj Richard Fearless e dall’ingegnere del suono Tim Holmes con Dead Elvis (1997) o con il più famoso The Contino sessions (1999). Per mesi, intorno a Scorpio Rising sono addirittura fiorite  diverse leggende: sarà doppio, anzi triplo. Sarà accompagnato da un corto/remake dell’omonimo film del 1965 di Kenneth Anger. A dirigere il corto sarà lo stesso Anger, tirato fuori dal guano della Hollywood Babilonia. Bla-bla-bla-bla... Niente di tutto questo (beh, si dice che con quella vecchia canaglia di Anger i D.I.V. ci abbiano almeno provato).

   Scorpio Rising contiene solo dieci brani ma si connota al primo ascolto come l’album più interessante realizzato finora dal duo. Un viaggio misterioso che comincia con i due ipnotici strumentali Leather e Girls (il primo non avrebbe sfigurato su Evil Heat dei Primal Scream, il secondo torna sui passi di Dirge), lasciando ben presto spazio agli ospiti vocali.

DEATH IN VEGASGrandi voci, intorno al nucleo centrale. Se in The Contino sessions si segnalavano le presenze di Bobby Gillespie, Iggy Pop e Jim Reid, il nuovo disco schiera una line-up altrettanto appetibile: Nicola Kuperus nel groove kraut-fetish di Hands around my throat, giocato su un giro molto New Order; Susan Dillane per 23 lies, ninna-nanna velvettiana posizionata strategicamente in scaletta prima del cameo col botto offerto dalla title-track, dove un Liam Gallagher colto in tutto il suo splendore da piccolo lord in acido regala una generosa prova fuori dal gruppo tra umori flower power e nastri al contrario. Si cambia registro con Killing smile, insolito country per violini indiani, banjo, mandolini e l’ugola di Hope Sandoval, creatura che al suo apparire sulle scene (1990: She hangs brightly, debutto dei Mazzy Star), fermò il respiro del mondo per più di un istante. Troppo bella e brava (si sente!). Dopo Natja, terzo tassello strumentale con il violoncello di Sara Wilson distorto/moltiplicato per 3’ e 50’’, è il turno del signor Paul Weller, a suo agio nel robusto soul/r&b alle spezie indiane di So you say you lost your baby: se questa non è classe, provate a tenere ferme le gambe, ragazzi (ve lo dice uno che non ha mai nutrito molta simpatia per l’ex Jam).

   Finale al femminile con la Dot Allison di Living horses, languido trip saturo di chiaroscuri, liquida nenia che ci immerge in atmosfere da ‘Ritorno a Twin Peaks’ e ancora la Sandoval di Help yourself, dolce ed oscura vestale sulle rive del Gange. Emotivamente intenso l’arrangiamento orchestrale scritto e diretto dal Dr. Subramaniam. Di stanza al Trinity Wave Station di Chennai, Subramaniam gioca un ruolo di primo piano nell’economia del lavoro, amalgamando senza forzature suoni orientali ed occidentali in un felice mix dilatato sino a sfiorare le corde della cosmic music.

   È tutta qui la grande seduzione di Scorpio Rising, oggetto straniante e profondo, raccolta di reinvenzioni sonore smontabili e rimontabili a piacimento dall’ascoltatore. Un album ambizioso, stupefacente (per nulla ruffiano e/o frammentario) che potremmo definire il perfetto mandala pop del 2002. Lassù, Elvis li ama.

web site: http://www.death-in-vegas.co.uk/                                                                                                        (J.R.D.)