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JON SPENCER BLUES EXPLOSION: Plastic Fang

(Mute/Extralabels)

 

"I said I curse the day that I ever was born."

(She said)

Spiacente, il tuo browser non supporta Java(tm). Quando avevo sette anni, volevo le zanne di plastica. Quelle da vampiro, bianche e terrificanti soprattutto perché cinque minuti dopo averle indossate, i denti veri facevano un male cane. Ora ho il sospetto che le zanne di plastica siano sempre piaciute anche a Jon Spencer. Come le camicie porpora, gli stivali a punta in pelle di serpente a sonagli ed il sacrosanto rock and roll.

Le zanne di plastica fanno parte di un universo straordinario che comprende, in ordine sparso: i vecchi film di Roger Corman, la filosofia del Drive In di Joe R. Lansdale, le prime pomiciate al chiar di luna (meglio se piena), le tette delle ragazze di Russ Meyer, i fumetti di Zio Tibia, i leggendari occhiali a raggi X per vedere attraverso i vestiti delle tipe, poi chissà che altro ancora.

Fluttuando in questo universo, l’unica colonna sonora possibile è il suono caldo e sporco prodotto da basso, chitarra e batteria in Plastic fang, ultima novità della Jon Spencer Blues Explosion. Dodici canzoni perfette per:

  1. cominciare un’altra giornata di duro lavoro;

  2. sentirsi eternamente diciassettenni;

  3. convincersi che senza Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Elvis ed i Rolling Stones, il mondo sarebbe stato davvero uno schifo totale.

Ladies and gentlemen, quello che gli stolti dicono ultimamente di Jon Spencer è che si è identificato fin troppo con i suoi miti. Può darsi. E allora? Portato all’altare dal pubblico, strappato alla scena indipendente da una major, esaltato dalla critica quando era (quasi) un perfetto sconosciuto. Una canaglia che in gioventù, prima di comprare la prima chitarra, studiava regia alla Brown University (chissà che razza di film avrebbe potuto girare). Degno erede dei suoi padri spirituali: un pazzo furioso in possesso delle carte giuste per stupirci con i soliti vecchi trucchi. Cosa sarebbe, diversamente, l’attacco di Sweet n sour? Prendere per il culo in una manciata di secondi ‘Quelli Che Oggi Ascoltano Solo Post-Rock’, poi incenerirli con una fiammata colossale.

Miscredenti. Se non vi basta, ecco già pronte sulla rampa di lancio She said (Jagger, paga da bere al ragazzo!), Money rock’n’roll e l’irresistibile Killer wolf (pseudo-confessione all’amata, con tanto di "Sono un porco" cantato col cuore in mano).

Il caricatore conta altri otto colpi. Caldi, trascinanti, infarciti di soul. La breve Tore up & broke, ballata Pop (nel senso di Iggy) ospita Elliot Smith alla voce. Hold on omaggia il Lou Reed di New York (prendendo in prestito addirittura il titolo di una delle canzoni di quella raccolta) e vede un Dr. John in ottima forma alla chitarra, coadiuvato dall’organo black di Bernie Worrell. Con le successive Down in the beast e Shakin’ rock’n’roll tonight sembra di viaggiare a tutta birra sulla vecchia Christine di Stephen King. Pericoloso sporgersi. Chiunque abbia un po’ di sale in testa sa che Christine (stesso nome della splendida moglie di Jon, co-leader dei Boss Hog) è una macchina molto speciale. Puoi salirci sopra, chiudere gli occhi e, a tuo rischio e pericolo, abbandonarti ad una folle passione.

L’ importante è non chiedersi mai dove siano i freni. Christine non sopporta gli indecisi.

Il resto del disco non delude: l’energia è la stessa di quando Jon, nel lontano 1986, rifece per intero Exile on main street insieme ai Pussy Galore. Plastic fang è un atto di devozione ad uso e consumo delle nuove generazioni. Onesto, suonato quasi tutto in diretta sotto la supervisione del leggendario produttore Steve Jordan (Keith Richards Band). Ė una seduta spiritica che chiama in causa lo spirito primitivo di una musica bastarda da sempre (dal blues in avanti, gli accoppiamenti non si contano). L’anima è rock, non si discute. E Jon Spencer è il perfetto predicatore del Verbo più sexy del mondo.

 

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