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MILLION DOLLAR BABY

Titolo originale: id.

Regia: Clint Eastwood

Interpreti: Clint Eastwood (Frankie Dunn), Hilary Swank (Maggie Fitzgerald), Morgan Freeman (Eddie 'scrap-Iron' Dupris), Jay Baruchel (Danger Barch), Mike Colter (Big Willie Little)

Soggetto: F.x. Toole

Sceneggiatura: Paul Haggis

Fotografia: Tom Stern

Scenografia: Henry Bumstead

Costumi: Deborah Hopper

Musiche: Clint Eastwood

Montaggio: Joel Cox

Produzione: Clint Eastwood per Malpaso Productions, Albert S. Ruddy Productions, Lakeshore Entertainment, Warner Bros. Pictures

Paese: USA Anno: 2004

Durata: 137'

Distribuzione: 01 Distribution

Sito ufficiale: www.milliondollarbaby.it

Un bel film. Forse un passo indietro rispetto ai suoi migliori. O forse no. Million Dollar Baby, a cercarne un giudizio, potrebbe esaurirsi così. In una definizione banale. Anche per non rovinare certe sorprese a chi, al cinema, non è ancora andato. E poi ci sarebbe comunque poco altro da dire.

Clint Eastwood è un regista che, a differenza di altri suoi colleghi avanti con gli anni (tipo Scorsese), riesce a mantenere in vita una formula che è sì sempre la stessa, ma che è anche capace di rinnovarsi di continuo: emozionare lo spettatore, e farlo innamorare dei suoi personaggi. A gente come Scorsese, invece, la vecchiaia riserva un cinema apparentemente personale, affascinante, elegante. Ma inutile. Come la genialità di un sarto che non ha più persone da vestire. Il contrario di quello che succede ad Eastwood, maestro di un linguaggio che invece calza ancora alla perfezione. Il trucco è nell’avere ancora qualcosa da dire. Il resto viene da sé, senza formalismi né guizzi estetici. Perché il suo stile è tutto qui, nella sua apparente assenza. Ed è così che ancora oggi, o forse soprattutto oggi, il regista tiene viva la magia di lontani capolavori di meraviglioso classicismo. Mai visto Honkytonk Man? Eastwood lo girò circa vent’anni fa. Storia decadente di un cantante alcolizzato in viaggio verso Nashville, ai tempi della Grande Depressione. Una delle più belle ambientazioni musicali che si ricordi. Cinema appeso alle emozioni, alla semplicità. Con una scrittura a cinque stelle. Che non sembra inventare nulla, perché tanto non vuole inventare nulla. Sono solo storie. E come tutte le buone storie, che si parli di musica o di boxe, la questione è sempre la stessa. “Senza personaggio non c’è azione, senza azione, niente conflitto; senza conflitto, niente storia”. Lo dice Syd Field ne La Sceneggiatura, bibbia storica di tutti gli aspiranti scrivani del grande schermo. Dunque, guantoni o chitarra country, il conflitto di Million Dollar Baby è lo stesso di quel film, e di molti altri film: la voglia di avere un’occasione, nonostante la vita faccia di tutto per non dartela. Intorno tutto il resto: la provincia americana, la sconfitta, la morte, l’amicizia, una vecchia ossessione. E poi l’amore nostalgico, quello condannato a respirare dentro una malinconia remota quando non è ancora nemmeno nato.

Ancora una volta la faccenda si occupa di quello che c’è “dentro” due persone, e di quello che succede “tra” due persone. Persone molto lontane, per età e provenienza. In Honkytonk Man un avventuriero ed un bambino. Ne I Ponti di Madison County un fotografo giramondo ed una casalinga dell’Iowa. In Un Mondo Perfetto un criminale in fuga e, di nuovo, un bambino.

In Million Dollar Baby un uomo ed una ragazza. Lui allenatore, lei pugilessa. Lui scorbutico, lei docile. Ragazza-pugilessa-docile, ma comunque incazzata. Una che, a parte tirar pugni ad un sacco, non ha nient’altro. Se non prendere pugni dal destino. A pensarci bene, viene in mente un altro film, il più eastwoodiano che Eastwood ha solo interpretato: Una calibro 20 per lo specialista (esordio di Michael Cimino del 1974) dove Clint, scassinatore di vecchia fama, fa coppia con un giovanissimo Jeff Bridges. “Ragazzo” è l’appellativo con il quale, all’epoca, il suo personaggio si rivolgeva all’allievo. “Ragazza” è l’appellativo con il quale, oggi, Eastwood si rivolge alla sua pugilessa. Ed il destino di Hilary Swank, che a questa ragazza presta un viso e un’arte che vi rimarranno sulla pelle, è lo stesso di quel ragazzo. Così come la vitalità, la determinazione, e la sua dolcezza folle. Ma, anche per non rovinare certe sorprese a chi al cinema non è ancora andato, meglio non dire altro. Che tanto ci sarebbe comunque poco altro da dire. E sì, forse c’è quella voce fuori campo che in certi casi è didascalica e inopportuna. E anche questa cosa della lettera con la quale Morgan Freeman ci accompagna per tutta la narrazione, forse è troppo Cinema d’Altri Tempi. E poi, forse, manca quell’ambiguità nebbiosa che fa di Mystic River il capolavoro di Eastwood. Ma tanti di voi, comunque, la penseranno diversamente. Perché questo è un bel film. Semplice e spontaneo. Che sa bene dove vuole andare. E sa bene come andarci.

 

Antonello Schioppa