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LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI

La foresta dei pugnali volanti di Shi mian mai fu

Titolo originale: Shi mian mai fu

Regia: Zhang Yimou

Interpreti: Takeshi Kaneshiro, Andy Lau, Ziyi Zhang, Song Dandan

Soggetto e sceneggiatura:  Feng Li, Bin Wang, Zhang Yimou

Fotografia: Zhao Xiaoding

Scenografia: Huo Tingxiao

Costumi: Emi Wada

Musiche: Shigeru Umebayashi

Montaggio: Cheng Long

Produzione: William Kong, Zhang Yimou, Zhang Weiping, Zhang Zhenyan

Paese: Cina/Honk Kong Anno: 2004

Durata: 119'

Distribuzione: BIM

Sito ufficiale: http://www.houseofflyingdaggers.com/

La foresta dei pugnali volanti è forse la miglior pubblicità che il cinema può fare a se stesso. Zhang Yimou, trova la quadratura della sua poetica e firma forse il suo film migliore, senz’altro il più coinvolgente. La grandezza di quest’opera è che sfugge ad una classificazione di genere e, mutando di minuto in minuto la propria identità, costringe lo spettatore a provare un po’ tutti gli stati emotivi derivanti dalla visione di un film.

Appare come il classico film orientale che, attingendo alla letteratura locale, alle proprie tradizioni culturali e alla Storia (il film è ambientato nella Cina del IX secolo), racconta di mondi antichi ed ormai perduti su una dimensione storico-leggendaria; ma presto la materia filmica si avvicina, quanto più può, a qualcosa che suoni come vagamente epico, a qualcosa che non è molto distante dai vecchi film di cappa e spada, che includevano al proprio interno presenze poco reali e molto trascendentali come una vecchia strega o uno strano eremita. E poco dopo aver adattato il proprio sguardo a tutto ciò, a guardar bene ci si accorge che in fondo si sta vedendo un canonico film d’avventura, con due ragazzi (Jin e Mei) in fuga da un esercito imperiale molto abile con le armi. Per di più, la dimensione visiva scelta, costruisce un mondo fiabesco fatto di colori sgargianti ed ambientazioni naturali di rara bellezza (se da dietro un albero spuntasse uno gnomo nessuno si stupirebbe troppo).

Lo spettatore è completamente immerso all’interno di un magma visivo condotto con un ritmo del racconto calibratissimo. Momenti riflessivi e drammatici, si alternano ad altri dal respiro più boccaccesco (vedi la scenetta del bagno all’aperto) e ad unirli fra loro, scene d’azione strabilianti, che sembrano balletti sulla violenza più che violenti duelli. Danzano questi coltelli di Yimou, fluttuano nell’aria come le vesti della ballerina che si esibisce ad inizio film, sembrano essere vivi questi coltelli, e non a caso ad ogni loro apparizione la storia subisce uno scatto in avanti, una sferzata imprevista. Talmente imprevista, che faticosamente si prende coscienza di come il film stia raccontando anche la storia di una passione travolgente, un amore impossibile che invita lo spettatore nuovamente a mutare atteggiamento, ed a guardare il tutto come un dramma degli anni ’50 che presto, nel finale, si tramuterà in una tragedia shakespeariana.

Già il finale, è difficile pensare che Zhang Yimou sia riuscito a raccontare l’epilogo di una tragedia antica, citando il duello finale de Il buono, il brutto, il cattivo, dove al posto di pistole e bossoli, troviamo pugnali e sentimenti. Ma è accaduto.

Già Zhang Yimou, evidentemente ispirato ed assolutamente perfetto nell’alternare diverse cifre stilistiche, uno stile spettacolare e vorticoso (le battaglie, le fughe), uno bucolico e visionario (l’ambiente non è il contesto, ma una presenza attiva) ed uno stile più contenuto ed intimista (gli sguardi, i silenzi ed i lunghi abbracci).

Uno è pronto a vedere un film d’avventura, con risvolti epici, fiabeschi e forse qualche riferimento storico, ed invece, come d’incanto, si ritrova immerso in un Romeo e Giulietta, nella Cina “letteraria” del IX secolo, con uno sguardo registico di una modernità (e classicità) dirompente.

 

Davide Catallo