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I FRATELLI GRIMM E L’INCANTEVOLE STREGA

I FRATELLI GRIMM di Terry Gilliam

Titolo originale: The Brothers Grimm

Regia: Terry Gilliam

Interpreti: Matt Damon, Heath Ledger, Monica Bellucci, Peter Stormare, Jonathan Pryce, Lena Headey, Julian Bleach, Tomás Hanák, Martin Svetlik, Laura Greenwood, Jan Unger, Roger Ashton-Griffiths, Barbara Lukêsova, Anna Rust, Petr Ratimec, Jeremy Robson

Sceneggiatura:  Ehren Kruger

Fotografia: Newton Thomas Sigel, Nicola Pecorini

Scenografia: Guy Dyas, Judy Farr

Costumi: Gabriella Pescucci, Carlo Poggioli

Musiche: Dario Marianelli

Montaggio: Lesley Walker

Produzione: Daniel Bobker, Michel Cheyko, Bob Weinstein, Harvey Weinstein, Charles Roven

Paese: Usa/Repubblica Ceca Anno: 2005

Durata: 120'

Distribuzione: Buena Vista International Italia

Sito ufficiale: www.grimmfilm.com

 Il re dei pazzi, l’incubo ricorrente dei produttori cinematografici, è di nuovo tra noi: Terry “Munchausen” Gilliam, uno che quando pensa a una storia da portare sul grande schermo è già parecchio fuori da qualsiasi budget possibile, già con ragionieri, executive producers e arcigne segretarie di produzione alle costole. Un cineasta che alla maniera di Kubrick e Fellini conta nel suo curriculum più progetti accantonati che opere portate a termine (e tra queste ripetuti flop al botteghino) e che nel recente documentario Lost in La Mancha ha confessato a Keith Fulton e Louis Pepe tutte le sue frustrazioni per il film su Don Chisciotte con Jean Rochefort e Johnny Depp  rimasto nel cassetto. Si stenta a credere che negli ultimi due anni, insieme a The Brothers Grimm, l’ex Monty Python sia addirittura riuscito a ultimare un film low budget, Tideland, incentrato su una bambina che dopo la morte della madre va a vivere col padre in campagna e, sconvolta dal dolore, si isola, finisce col comunicare solo con delle teste di Barbie e con una misteriosa vicina dal volto coperto da un velo da apicoltore.

   Quella dei fratelli Will e Jack Grimm, due cialtroni che in una Germania sotto il dominio napoleonico sbarcano il lunario spacciandosi per esorcisti e facendo leva sulla superstizione dei contadini, è invece una vicenda che, tra ripetuti intoppi nella lavorazione e ritardi distributivi, il pubblico ha rischiato di non vedere. 750 effetti digitali, corvi e cavalli addestrati,  set nelle campagne intorno a Praga, un eccellente lavoro scenografico diretto da Guy Dyas. A Ehren Kruger (The Ring, The Ring 2, The Skeleton Key) il compito di cucire una sceneggiatura originale che inglobasse elementi da Cappuccetto rosso, Raperonzolo, Il Principe Ranocchio, Hansel & Gretel, La Bella Addormentata nel Bosco e altre celebri fiabe oggi popolari in tutto il mondo, ma anche citazioni cinefile (il Dracula di Coppola e Ghostbusters, tanto per citare due esempi). A Gabriella Pescucci e Carlo Poggioli l’ideazione dei meravigliosi costumi, mentre il lavoro sulla luce è diviso tra Newton Thomas Sigel e Nicola Pecorini. Il cast? Damon, Ledger, Bellucci, Pryce, Headey e un vulcanico Peter Stormare (nei panni del sadico Cavaldi) sulle tracce di un altro (più) celebre Peter: il Sellers del Dottor Stranamore e di altre stupefacenti trasformazioni. Tutto questo, al re dei pazzi non deve essere parso abbastanza: come Jackob Grimm, il fratello visionario, Gilliam ha una mente perennemente assediata da slanci fantastici non comuni. Il senso pratico? Lasciamolo a chi realizza pellicole perfettamente calate nella realtà. E ha ragione da vendere, perché no? The Brothers Grimm è un gioiello, un circo delle meraviglie, un sofisticato, divertentissimo spettacolo per gli occhi che nel primo tempo sfodera trovate comico-grottesche degne de Il Senso della vita e di altri classici dell’era Python (su tutte, l’atteggiamento diffidente dei contadini che vivono nel villaggio stregato all’arrivo della coppia di stranieri).

   Diverte questa “storia alternativa” dei Grimm, simpatiche canaglie che il crudele generale francese Delatombe (Jonathan Pryce) preferirebbe vedere morte e sepolte insieme a tutte le credenze popolari trascritte dalla tradizione orale sul libro di Jackob. Funziona l’innesto di elementi (soft) horror in quella che resta in ogni caso una commedia inserita in una cornice fantasy. Un film che non si fa scrupolo di esibire difetti essenzialmente legati allo stop che la produzione deve aver messo ad un certo punto al fiume in piena Gilliam: c’era dell’altro, evidentemente, ma il regista ha dovuto abbozzare, rassegnarsi al freno. Terry, quello di Brazil, L’Esercito delle 12 scimmie e Paura e delirio a Las Vegas. Il cineasta bambino, il sognatore/mangiatore di celluloide, tra gli ultimi esemplari di una stirpe purtroppo in via di estinzione.

 

(V. L.)