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DENNIS COOPER: Tutt’orecchi (Playground, pp. 144, € 11,00; traduzione di Giuseppe Marano)

 

Dennis Cooper è l’autore di libri come Frisk, Idoli, Ziggy, The DENNIS COOPER: Tutt’orecchi Tenderness of the wolves (collezione di poesie selezionata nel 1982 per il Los Angeles Times Book Prize) e Tutti gli amici di George. “Roba forte”, mi assicurano un po’ di conoscenti che li hanno letti (io mi sono fermato al primo e non l’ho trovato granché). Omosessuale, tossico più o meno dall’età dello svezzamento, fan di Hüsker Dü, Cat Power, Flaming Lips, Autechre, Melvins, Pavement, Aphex Twin e tanta altra bella gente. Al suo apparire sulla scena letteraria americana, si sprecarono le ovazioni, le accuse di oscenità caricate ad arte dai pubblicitari, i paragoni con Genet e Burroughs, addirittura con il povero de Sade per i fantasiosi intrecci di sesso e violenza presenti nelle sue pagine. Si dice anche (e la cosa mi sembra più plausibile) che la vita, le opere, l’atteggiamento di Cooper verso i media abbiano decisamente spianato la strada a un certo J.T. Leroy, e che la dark lady di cartongesso Isabella Santacroce gli debba qualcosa di più di un caffè. Ora, a distanza di cinque anni dalla prima pubblicazione americana, la piccola casa editrice Playground ha appena tradotto nella collana ‘Liberi e Audaci’ la sua raccolta di saggi All ears: reportages, interviste, recensioni, necrologi apparsi su varie riviste (da SPIN a George, da Interview ad Artforum) nel corso del dei ’90.

   “Sono soprattutto un romanziere a cui capita anche di fare il giornalista e di scrivere saggi”, annota l’autore losangelino nell’introduzione prima di dichiararsi estimatore della prosa di David Foster Wallace, Lester Bangs, Joan Didion, il primo Tom Wolfe e Gary Indiana. Il libro, godibile anche se a tratti datato (le conversazioni con Keanu Reeves, Courtney Love, Leonardo DiCaprio, Stephen Malkmus, l’addio al bello e dannato River Phoenix) è impreziosito da un testo più recente di sei paginette: Violenza, informazione, letteratura, scritto nel 2003 per una conferenza a Lione. Qui Cooper rivela molto del suo apprendistato: incubi, fantasie sessuali, attrazione ossessiva per la violenza e le storie di veri serial killers, famiglia disastrata (madre alcolista con tendenze suicide e brutta fissa per l’esoterismo, padre buttato fuori di casa), un colpo d’ascia ricevuto accidentalmente sul cranio che a undici anni rischia di mandarlo all’altro mondo, il furto di una copia de Le Centoventi giornate di Sodoma (“Leggere Sade, una sorta di specchio più cerebrale del mio mondo interiore, consolidò la decisione di dedicare la mia vita alla scrittura”) e, ancora, un primo tentativo di romanzo pornografico di oltre ottocento pagine scritto e poi bruciato in fretta e furia. Di certo il pezzo migliore del lotto, insieme ad AIDS: parole dal fronte, toccante report sui giovani homeless di L.A., poi a Tossici per emulazione e Visto da un raver (scritto a quattro mani con il musicista Joel Westendorf), frutto di un giro al World Unity Festival di Flagstaff, Arizona.

   Difficile invece non storcere il naso in presenza dei due ritratti di William S. Burroughs buttati giù in occasione di una personale di pittura del grande scrittore alla Tony Shafrazi Gallery di New York e della sua scomparsa nel 1997. Burroughs “Reliquia vivente che sfruttava il mito delle sue prime opere da troppo tempo”? Burroughs “morto alla fine degli anni Settanta, quando è stato riesumato da una relativa oscurità e riconfezionato come una specie di comico/filosofo fuorilegge”? C’è puzza di “Per favore, non paragonatemi a lui!” Ci mancherebbe altro, viene da aggiungere. Il cretino che ha tirato fuori una stronzata del genere gira ancora il mondo con un paio di sproporzionate orecchie da somaro ben piantate in testa.

(N.G.D’A.)

 

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