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ENZO FILENO CARABBA: Pessimi segnali (Marsilio, pp. 185, € 12,00)

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Prima di arrivare sugli scaffali delle nostre librerie, l’ultimo romanzo di ENZO FILENO CARABBA: Pessimi segnali Enzo Fileno Carabba ha incontrato il pubblico francese nel 2003, quando Gallimard l’ha pubblicato nella leggendaria «Série Noire» creata da Marcel Duhamel. Da noi era finora passato per poche mani, incluse quelle di Valerio Evangelisti e dell’editor Jacopo De Michelis che alla fine ha voluto accoglierlo tra i titoli Marsilio della collana «Black». Un italiano dopo Masterson, McLoughlin, Klein, Busch e Stella Duffy? Sì, per giunta con un noir atipico, cucito con lo stesso filo dei sogni, “lynchiano”, ha già osservato qualcuno, per il suo raccontare facce, luoghi, strade perdute che è possibile percorrere solo premendo l’acceleratore sul potere dell’immaginazione. Atto incosciente, da sonnambulo, da vittima di una gran botta alla testa: per compierlo, una buona occasione c’è sempre, magari durante un anno di servizio civile in un villaggio del Valdarno circondato dai boschi. Un anno a guidare ambulanze, a ripetere «Presto arriveremo in ospedale» alla vittima di un incidente,  dormendo poco e male sotto le coperte con lo stemma della Usl che durante il giorno accolgono accoppiamenti di giovani del luogo.

   Angelo si ritrova accanto colleghi molto strani: il Manno, il Sacco, il Borri, il Rema, il Manzi. Gente attirata dal sangue altrui («Oh: vedessi com’è ganzo, di notte, il sangue sull’autostrada. Lo vedi che inzuppa i vestiti, illuminato dai lampeggianti dell’ambulanza. Vedrai.»), personaggi che vivrebbero bene a Twin Peaks come nei pressi del campeggio di Crystal Lake, luogo natìo di quel picchiatello di Jason Voorhees. Corrono verso il dolore di qualcuno. Si stringono in cerchio con le loro facce gravi, intorno all’ennesimo martire del chilometro 312. Il Sacco, ad esempio: “Aveva un alone violento attorno a sé, anche se non partecipava mai alle pantomime esagitate di quegli altri deficienti. Ti aspettavi sempre che tirasse fuori un bazooka dai calzini. E in effetti a casa teneva delle armi, come tutti, da quelle parti.” L’intero paesino di Torresola, in apparenza sonnacchioso, sembra immerso in un’atmosfera poco rassicurante, partecipe di un non ben definito complotto dalle finalità maligne. Il primo, pessimo segnale, arriva il giorno in cui un bambino di nome Augusto diventa improvvisamente cieco, sordo e muto dopo essere stato colpito con violenza alla nuca dal seggiolino di metallo di un’altalena. Disgrazia o tentato omicidio? Altre vibrazioni particolari cominciano a diffondersi nell’aria: tutti eventi strambi e in qualche modo collegati alla piccola vittima. Situazioni che, come in un racconto di Richard Matheson, fanno vacillare muri di razionalità mettendo in discussione concetti come “sano” e “normale”.

   Oppure non è proprio così che stanno le cose. Magari Angelo (che quando non è in servizio scrive) si è inventato una lunga storia dai toni cupi, piena di ombre minacciose, suore che sembrano streghe, volontari sociopatici, Ufo e conigli neri. Qualcosa che scalciava da dentro con l’urgenza di aprirsi un varco, di venire fuori trasportando, come spesso accade, residui di altre storie, meraviglie/orrori del tempo e del mito. È una possibilità (ma non ne siamo sicuri, e questo ovviamente è un bene).

  “Il sole saliva come un Osanna sulla piana degradata. I suoi raggi erano angioli attorcigliati che sferzavano le fabbriche, il fango freddo e l’asfalto. La Forza era con me. Mi esaltavo.”

   Fin dai suoi esordi presso Einaudi con Jakob Pesciolini (Premio Calvino 1991) e La Regola del silenzio (1994), romanzi nei quali si registrava una diserzione dal vissuto contemporaneo a favore di una visionarietà ansiogena, sempre in bilico tra comicità e tensione, Carabba ha dimostrato di padroneggiare oltre che le molte lingue del racconto, anche l’arte di saper lasciare socchiuse tutte le porte dell’interpretazione senza per questo peccare di pretenziosità o, peggio, annegare l’attenzione del lettore nei vortici della delusione. Per dirla con una massima di De Sade: “Forse non sempre gli effetti hanno bisogno di una causa”Pessimi segnali fa compiere al romanzo noir un originale giro su se stesso per portarlo verso lidi migliori. È il frutto più recente e maturo di uno scrittore in grado di prenderci per mano e sbalzarci in altre dimensioni, dentro un universo surreale e spaventoso dalle leggi sconosciute che tuttavia altro non è che uno specchio di questo tempo, di questa realtà.

 

(N.G.D’A.)