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GIANLUCA MOROZZI: Blackout  (Guanda, pp.202, € 13,50)

 

GIANLUCA MOROZZI: BlackoutÈ un romanzo per certi versi aspetti esemplare, perfetto, è la costruzione di un meccanismo di precisione che scatto dopo scatto si assesta e arriva a livello zero, l’ultimo tick, il colpo di scena finale.

Gli aspiranti giovani scrittori dovrebbero analizzarlo attentamente,  prenderlo ad esempio, i corsi di scrittura creativa prevederlo come libro di testo. È il manoscritto che l’editore accorto non si rifiuterà di pubblicare, il libro che mai appoggerai semisvenuto sul comodino dopo aver faticosamente raggiunto la fine del capoverso, il libro che prendi a morsi in ore notturne fino alla fine. Morozzi è cresciuto bene nella scuderia di Fernandel (Giorgio Pozzi, l’editore ravennate che ha lanciato Nori, Verasani, Governatori), sa dare struttura solida alla narrazione, dimostra di aver fatto proprio il mezzo della scrittura descrivendo con agilità  la guerra psicologica dei tre personaggi bloccati per diverse ore in un ascensore, non esaspera le analisi introspettive, si limita a tenere alto il filo dell’angoscia, quell’angoscia che evoca citando la massima espressione raggiunta negli ultimi anni nel cinema, la scena finale di Blair Witch Project “…il terrore della protagonista, impegnata fino all’ultimo a filmare i gradini di pietra, le stanze abbandonate, i graffiti sui muri scrostati. L’amico voltato faccia alla parete, nell’ultima scena, il buoi finale. La videocamera sul pavimento freddo”.   

   Nel capitolo LA BAMBINA CHE GRAFFIAVA I MATTONI che racconta dell’incontro di Claudia (una dei tre reclusi) e di Bea (suo amore lesbico), la loro visita notturna in una autentica villa stregata è un tentativo riuscito di ricreare appunto quello stato d’animo di assoluto terrore che arriva dritto al centro dell’individuo e gli scoppia dentro avvicinandolo all’idea stessa della morte.

   Claudia studentessa omosessuale costretta a fare la cameriera in un bar stretta in una improbabile divisa sexy kitch, Tomas ragazzetto tenero e idealista che ha appena conosciuto la fidanzatina della sua vita conosciuta in una chat di un sito dei Pearl Jam e si appresta a coronare l’unione con una fuga d’amore ad Amsterdam e infine Aldo Ferro  proprietario di tre noti locali, marito e padre esemplare, preda però della propria produzione di testosterone in eccesso e di troppi film americani sul tema serial killer.

   Sono queste le tre figure che convergono in un microcosmo di acciaio nel cuore di un palazzo il giorno di ferragosto in una Bologna deserta, una città ben disegnata tramortita dal caldo abitata da pazzi e malati. Dopo poche ore di reclusione le convenzioni sociali cedono, i nervi si scoprono, l’intimità violata fa uscire allo scoperto fragilità e ferocia, riproponendo i meccanismi del branco animale, vittime e carnefici danno spettacolo di sè in un crescendo sapientemente giocato dall’autore.

   Poi da pag. 170 (INTERLUDIO), la vicenda cambia prospettiva, il terrore prende le distanze, si congeda dal lettore, e Morozzi ti dice che sono tempi strani, balordi, è il grottesco che sistematicamente divora il tragico, la tragedia è un lusso che non ci meritiamo più da tempo, la morte dà spettacolo in un Reality televisivo e come sempre perde forza fino quasi ad annullarsi quando serve solo ad alzare i dati dell’auditel.

   Blackout è un capolavoro? No, Blackout è un buon libro, troppo furbo per essere un grande libro, i  personaggi hanno tratti troppo definiti, niente di piacevolmente irritante (non lo sono le soluzioni sadiche di Ferro e del suo complice), curve troppo tonde, colori troppo vivaci, Morozzi non si avventura mai in sconnessi fuoripista, non ci prova mai, sa dove vuole arrivare, ha capito come si costruisce una successione di azioni coerente, la trama è forte, il segno grosso, a pennarello, privo di sfumature, il libro scorre come in un buon fumetto anni ’70, ogni riga ha il merito di accendere una immagine nel cervello in una concatenazione che non sorprende mai, asseconda il lettore che arriva con precisione millimetrica nel  punto G che soddisfa sia l’autore che il fruitore dell’opera, nessun coito interrotto, nessuna delusione, nessuno spazio al non detto. Un amplesso perfetto. Ma con la fidanzata storica conosciuta sui banchi delle elementari.

Saverio Fattori