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JOE R. LANSDALE: La Sottile linea scura

(Einaudi, pp. 300, € 14,00; traduzione di Luca Conti)

 

C’è un limite massimo oltre il quale Tom Sawyer e Huck Finn non riescono a far presa più di tanto sui lettori. Il limite è quello dei tredici anni, poi il bisogno di tuffarsi in altre letture diventa più che naturale. Con rare eccezioni (al momento mi viene in mente solo Salinger), gli scrittori che - talora con la scusa della svolta stilistica - si intestardiscono a sfornare romanzi incentrati sulle scoperte fondamentali di un ragazzino, puzzano di ultima spiaggia già al secondo tentativo. Lansdale, per esempio. Immenso ne La Notte del Drive-In, nell’eccellente prova noir di Fiamma fredda e nella raccolta di racconti Maneggiare con cura, perversamente soporifero in cose come In fondo alla palude (recentemente ristampato da Fanucci) e quest’ultimo A Fine dark line, tomo di 300 pagine intriso di malinconiche rievocazioni della provincia texana anni Cinquanta tutta brillantina, primi rock’n’roll e Cadillac rombanti.

Stanley Mitchell jr., voce narrante del romanzo, è un tredicenne tontolone davanti al quale Harry Potter farebbe di sicuro la figura del playboy navigato. Stanley ha appena smesso di credere a Babbo Natale e per lui è dura aprirsi un varco nella mente per farci entrare i misteri del sesso. Il suo migliore amico è un coetaneo che non si lava mai i capelli e ha la disgrazia di essere figlio di un predicatore violento. Stanley si ingozza di hamburger, patatine, limonata, poi corre da qualche parte in bicicletta con il fido Nub (povero cane, rischia ripetutamente la vita per colpa dell’imbecillità del padrone). Le strade sono quelle della sonnacchiosa Dewmont, l’anno è il 1958 e per la popolazione di colore c’è la solita scodella di merda razzista da mandare giù. Stanley legge Adventure Comics, Challenger of the Unknown, Superman’s Girlfriend Lois Lane e i romanzi di Edgar Rice Burroughs. Quando il padre fa un macello dopo aver trovato un preservativo usato nella stanza della figlia maggiore, lui fatica di brutto a capire come possa un adulto perdere le staffe per via di un palloncino. Scenetta divertente, d’accordo. Il problema è il resto (l’episodio accade a pagina 19). Troppo debole e convenzionale l’impianto. Troppo stereotipato questo protagonista che si imbatte in cattivi di carton gesso (il nero Bubba Joe) e gioca al giovane detective ficcando il naso in storie di fantasmi da filmetti disneyani genere La Maledizione della prima luna.

È il Lansdale migliore? No.

Se la qualità della scrittura è alta, l’ispirazione langue nella secca di un trend editoriale che si rivolge tanto ad un target giovanile quanto a quella porzione di pubblico adulto che riesce ad accostarsi ad autori come Niccolò Ammaniti o Stephen King solo in presenza di lavori ‘leggeri’ (Io non ho paura, per il primo; Stand by me e Il Miglio verde per il secondo). L’uscita parallela del lungo racconto Bubba Ho-Tep (Addictions, traduzione di Seba Pezzani) è sicuramente preferibile: 89 pagine di genuina follia ‘uncensored’ che in America ha ispirato un film indipendente di Don Coscarelli (Phantasm) con Bruce Campbell (Evil dead 1,2,3). Se volete Lansdale, il texano fuori di testa maestro dell’intrattenimento, cercatelo lì e lasciate pure questo libro alle signore di mezza età che hanno amato alla follia Io non ho paura e sono inorridite leggendo Fango.

(N.G.D’A)