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CocoRosie: La maison de mon reve

(Touch & Go Records)

 

CocoRosie: La Maison de mon reveSiamo attraversati dalla cultura del Novecento, in un certo senso ne siamo vittime inconsapevoli e poco contano i tentativi di un’arte  che miseramente si ribella a sé stessa per rinnovarsi.

I Portishead erano avanguardistici nel loro catapultarsi consapevolmente nel passato, nel loro essere filtro tra origine spirituale e termine corporale, campi di cotone illuminati da neon fluorescenti.

Ed  è oggi innegabile che l’hip hop, in particolar modo nelle sue derivazioni abstract, grazie ad artisti quali Clouddead, Anti Pop Consortium, Beans, Dizzee Rascal, per non parlare poi della scuderia  della Anticon, non segua la storia ma ne rimanga eternamente avviluppato.

Le CocoRosie, due sorelle girovaghe francesi in cui la Touch & Go crede molto, portano il discorso, almeno idealmente, alle estreme conseguenze. Country, blues, folk, su basi hip hop che sembrano improvvisate, rumori di giocattoli che prendono vita  e si rompono, radio mal sintonizzate, stanze dove sembra aleggiare l’adolescenza nera di Billie Holiday e ancora gospels malati che fremono, jazz ancestrale, respiri controtempo.

È come prendere a calci una carcassa che pulsa, infierire su un corpo, un genere musicale  che celebra la resurrezione grazie a misteriosi haitiani riti voodoo. L’hanno definito hip hop anni 20 e trovo la definizione semplice quanto appropriata tanto che il gioco degli accostamenti vien quasi spontaneo.

By your side è un ponte traballante tra Parigi e Bristol  che riattualizza il trip-hop, Jesus loves me è una delle preghiere che Tricky scriverebbe in onore di Babilonia. Good Friday è l’improbabile incontro tra Vincent Gallo e Lead Belly.

Del resto la storia non si ripete, si impone e CocoRosiepretende immortalità e quando iniziano le note di Tahiti rain song non è difficile avvertire il fantasma di una schiava di colore che canta, nella doccia di casa nostra, il suo amore disperato; e quel tamburello mal suonato che accompagna il pezzo, la sirena che lo conclude preannunciando l’apocalisse creano una tensione erotica che trova pieno piacere solo nella successiva Candy land, un orgasmo lento che si prolunga grazie al momento più lirico del disco.

La cosa che maggiormente colpisce di questo La maison de mon reve aldilà di qualche sbavatura, è l’avvertirne un enorme potenziale ancora da scoprire, la sensazione di un talento che  se accompagnato da fruttuose collaborazioni potrà regalarci notevoli soddisfazioni, aspirare a quell’utopia iniziata forse con Bitches brew di Miles Davis , la fusione totale dei generi musicali, il crossover puro.

 

Jo Laudato