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GUGLIELMO PISPISA: La Terza metà (Marsilio, pp. 272, € 16,50)
 

Guglielmo Pispisa: La Terza metà

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La costruzione di una buona storia, perfino di un’intera serie, passa necessariamente attraverso la voce, il carattere dei personaggi che la animano. Partendo da tale presupposto è possibile spiegare ad esempio il successo dell’ex agente della CIA Jason Bourne creato da Robert Ludlum, dei supereroi con superproblemi dell’universo Marvel, del Montalbano di Camilleri o del Dr. House.  L’assenza di bidimensionalità è un aspetto che rende molto interessante fin dalle prime pagine Hieronimus (o più semplicemente Hiero), protagonista del nuovo romanzo solista di Guglielmo Pispisa, componente del collettivo di scrittura Kai Zen. Hiero, figlio di una raeliana che ora vive in una comune in Canada con il nome di Oona e di uno studente di filosofia finito tra le maglie della lotta armata nell’Italia degli anni di piombo, si presenta al lettore nel giorno del suo funerale: è morto tra fuoco, pioggia di cristalli e lamiere contorte in un incidente d’auto all’imbocco di un tornante e si prepara a rinascere con documenti nuovi, aiutato da Aristotele Gheorghiu, pezzo grosso dei Servizi, “Categoria: spiacevole, istruttivo, pericoloso”.

   Un avvio immediato, spettacolare e al tempo stesso intimo (alla maniera di certi personaggi di Truffaut come Antoine Doinel o il  Bertrand di L'uomo che amava le donne per la spinta a dischiudere un intero spettro emozionale) che gira magistralmente intorno alla messinscena di una liquidazione: “Guardo il cielo di latte acido; un velo di caglio incombe sull’arida terra e su noi peccatori. Aspiro l’ennesima boccata dalla sigaretta e sento i polmoni invasi dal fumo caldo, misto all’aria del mattino.

Fumare ormai non può più farmi male, visto che sono morto tre giorni fa. Schiattato, passato nel regno dei più.

Finito. Sottratto al terreno fardello che tutti ci portiamo dietro. Che tutti si portano dietro. È stato un bell’incidente, ottima coreografia, e io mi intendo di queste cose, non parlo tanto per parlare. L’auto sbanda imboccando un tornante – quella maledetta ghiaia sull’asfalto –, abbatte il guard-rail e precipita nel fosso. Precisa precisa, manco avessero disegnato la scena apposta.” Hiero infila insomma l’uscita di sicurezza per tuffarsi in una vita nuova. Nel far questo, si preoccupa di metterci a parte dei fatti relativi alla sua vita precedente, ad un’incarnazione anteriore fatta di esistenze separate (una in Canada tra i raeliani, l’altra in Italia insieme all’ottuagenaria Giacomina) e di molteplici ruoli sulla scena delle trame oscure che da sempre – così si dice, si presume, si sospetta - fanno girare il mondo.

   Come tutti, l’antieroe di Pispisa è stato bambino: la medaglietta di Santa Barbara appesa al collo, una certa inclinazione alla risposta violenta se provocato oltre un certo limite dai suoi compagni di scuola: “Poi era arrivata la prima elementare. I primi due giorni ero tornato a casa con gli occhi gonfi di lacrime e il colletto macchiato di penna biro. Ciò non aveva destato molta attenzione, gli inizi sono difficili, si sa. Maggiore interesse avevo suscitato il terzo giorno, tornando a casa tranquillo, con le unghie e il grembiule sporchi di sangue, non mio.“ È cresciuto con le filastrocche di Giacomina, con un vecchio libro di haiku appartenuto al padre che non ha mai conosciuto, con uno sguardo particolare sul mondo e gli esseri che lo abitano. Più avanti, scopriremo, è diventato allievo di un “maestro d’inganni”, marionetta in un teatro di démoni, interprete di recite sempre più nuove e fantasiose popolate da uomini e donne che vivono nella tenebra degli intrighi, dei veleni e della grossolanità morale.

   Nuovi documenti. Nuova identità. Un passato pieno di nodi non ancora sciolti. E la crudeltà di certe ombre non si attenua con gli anni, l’esperienza, il disincanto. Ecco cosa ha catturato immediatamente la mia attenzione: il protagonista de La Terza metà è qualcuno che vedi, che senti davvero, che hai voglia di ascoltare mentre ti racconta la sua storia personale collocata all’interno della traiettoria di eventi più grandi che riguardano la nostra nazione tra il vecchio ed il nuovo terrorismo politico.

   Non basta, a pagina 121 Pispisa ci porta sotto i ponti della Senna, sulle banchine di Parigi, per farci conoscere il Magister, clochard attorniato da cinque amici immaginari che ascoltano le sue memorie di uomo da marciapiede carico di aneddoti. Anche qui il racconto di una vita precedente, ora scanzonata e picaresca, ora drammatica, diventa chiave di volta dell’intero romanzo: il sé diviso, riflesso emblematico di una società dissennata e sporca di fango. Reminiscenza che è esperienza consunta, toccante bagaglio di sentimenti sciupati. Memoria che riesce a farti avvertire la presenza di tutti i personaggi, anche di quelli secondari, delle comparse addirittura. Disturbati, disturbanti, impietosi, tratteggiati con sicurezza e felicemente inseriti in una spy-story atipica, scritta con cura ammirevole, da artigiano in possesso di un talento particolare nel costruire personaggi e circostanze che tendono a strabordare dalla pagina. Spessore agli snodi narrativi, consistenza e credibilità dei dialoghi si riflettono nella concezione spaziale sottesa proprio al romanzo dell’autore messinese. Aspro - va da sé - e  con uno stile molto elaborato, difficile da dimenticare.

 

(N.G.D’A.)