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DEPECHE MODE TOUR 2005-2006
 
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STEVE MALINS: DEPECHE MODE BLACK CELEBRATION   (Chinaski Edizioni, pp.318, € 17,00; traduzione di Silvia Compalati Iazzini)
 

Steve Malins: Depeche Mode Black Celebration

Ordina da iBS Italia

“Let's have a black celebration

Black celebration

Tonight

To celebrate the fact

That we've seen the back

Of another black day”

 

Il titolo di questa biografia deriva da uno degli album più amati dei Depeche Mode, atto secondo di quella fase matura intrapresa nel 1984 con Some great reward e prologo al dittico Music for the masses (1987) e Violator (1990). L’opera al nero, lo stacco definitivo dal pregiudizio (covato soprattutto in patria) che i ragazzi venuti dalla grigia Basildon non potessero essere altro che una boy-band senza diverso futuro all’orizzonte dopo una manciata di singoli azzeccati.

   Opera di chiaroscuri, con diverse scivolate nel nero si può definire anche l’incrocio tra arte e vita vissuta di ciascun componente del gruppo: successo, eccesso, crolli psicofisici hanno scandito 26 anni di dischi e giri intorno al mondo, tra droga, alcolici, divorzi, esaurimenti nervosi, scontri di ego e ricoveri in cliniche per la disintossicazione come da copione. Il pepe dei libri dedicati alle icone del rock è esattamente questo (da Nessuno uscirà vivo di qui, dedicato alla figura di Jim Morrison a The Dirt, incentrato sulle malefatte dei Mötley Crüe, è tutto uno spasso). Pure, Depeche Mode Black Celebration riesce a coinvolgere il lettore su altri livelli, non ultimo quello strettamente musicale, con pagine e pagine occupate dalla direzione sonora intrapresa dalla band in un dato momento (il fascino della Berlino mitteleuropea di Bowie/Eno; l’uso delle chitarre in Violator; il gospel di Songs of faith and devotion e così via), oppure dai curricula dei diversi produttori chiamati a seguire le sedute di registrazione e, ancora, dai veleni puntualmente versati dalla stampa inglese nella coppa del definitivo trionfo.

   Una storia che ha inizio nel 1979, sotto il monicker Composition of Sound poi modificato prendendo a prestito una definizione trovata su rivista di moda francese. Il debutto nella discografia con il brano Photographic incluso nell’antologia Some Bizare Album curata da Stevo Pearce, manager dei Soft Cell, quindi l’incontro con Daniel Miller, fondatore dell’etichetta Mute e loro pigmalione.

   I Depeche Mode hanno lasciato un segno e sono diventati un marchio riconosciuto in tutto il pianeta (curioso esempio più unico che raro di qualità artistica associata al concetto di macchina per soldi). Ancora oggi riescono a tenere il palco meglio di molte altre glorie del passato e ad incidere dischi che, oltre a svettare in cima alle hit parade mondiali, riaccendono l’entusiasmo dei fans. Inossidabili. Artefici di uno stile unico. Popolari quanto i Rolling Stones.

   Steve Malins, collaboratore delle riviste Q, Time Out e Vox già autore di volumi biografici dedicati a Duran Duran, Paul Weller, Gary Numan e Radiohead, è stato in contatto con il produttore Daniel Miller e con i membri della band Andy Fletcher, Martin Gore, Dave Gahan, ma anche con l’ex componente Alan Wilder (transfuga alla fine dell’estenuante Devotional Tour). Il suo è un libro onesto (e attualmente secondo tra i testi musicali più venduti in Italia), aggiornato fino alla nascita dell’ultimo disco dei DM Playing The Angel. Il racconto di un sogno che diventa realtà. A caro prezzo, s’intende. Il rock non fa sconti a nessuno.

 

 

 

(N.G.D’A.)