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CARL HIAASEN: Crocodile rock (Meridiano Zero, pp. 384, € 17,50; traduzione di Marco Vicentini)
 

CARL HIAASEN: Crocodile rock

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Crocodrile Rock è uno di quei libri che guardo con sospetto. In primo luogo, il lancio pubblicitario: sì, lo so che gli editori credono che "fascette" e richiami a glorie non letterarie dei loro autori attirino i lettori come lemming rincoglioniti da un piffero, però a me non impressionano affatto la scrittrice-modella, il cantante scrittore, ecc.

Anzi, sono uno di quelli che NON  compra un libro per questo.

Inoltre, Strip Tease, l'ho trovato insostenibilmente brutto (provato a vederlo in in TV, abbandonato).

In secondo luogo, considero gli sceneggiatori di Hollywood ottimi artigiani, come tutta la manovalanza della mecca del cinema, ma credo anche che, quando si vogliano cimentare con l'arte, rischiano sempre di prenderla - e prendersi - troppo sul serio, spesso sfornando polpettoni pretenziosi.

Quindi, povero Carl, trovavi in me un osso duro!

Poi - suggerimento agli editors - citare W. Allen in quarta sa di quelle iperboli da marketing e indispone i lettori "stronzi". Quelli cioè che non saranno mai disposti ad ammettere di essersi divertiti altrettanto, per puro dispetto, se il libro è all'altezza; oppure gireranno sadicamente il pollice, chiedendo il sangue dell'autore, se anche le battute sono a un livello appena più basso. Non ho citato chi ODIA Woody Allen, perché è una minoranza in clandestinità, ma più numerosa di quanto si pensi.

Beh, esaurita la disamina delle mie fisime, passiamo al libro. Apro la mente, fletto i muscoli e leggo.

Jack Tagger ha 46 anni, un passato con qualche gloria, ma il suo caratteraccio lo ha portato alla pagina dei necrologi, dove Emma, il suo responsabile, ha il compito di mobbizzarlo.

Il giornale è passato di mano e da baluardo della collettività si è trasformato in una macchina per far soldi in mano ad una bieca multinazionale, cui il buon Tagger non ha risparmiato pubblici insulti - e questo è il motivo della sua condizione. Ma stavolta il nome del morto fa balenare al nostro la possibilità di una buona storia: una vecchia stella del rock, sposato con una starlette di MTV, morto in circostanze misteriose. Queste solleticano la curiosità di Tagger, che comincia ad indagare, con l'aiuto della figlia di una sua ex fiamma, una simpatica esponente del popolo della notte di Miami, e sollecitato dai dubbi della sorella della buonanima. Emma, dopo qualche titubanza, lo supporta. le indagini scatenano un paio di altri omicidi, fino alla soluzione del caso, tra complicazioni sentimentali, compleanni, matrimoni. Si tratteggia il mondo dello spettacolo contemporaneo, di volgarità e pochezza disarmanti, l'editoria cannibalizzata dalla borsa, il buon vecchio rock'n'roll di una volta.

   Il romanzo è piacevole, una gradevole variante dell'hard-boiled classico, in cui il detective è sostituito da un giornalista, l'amarezza e il sarcasmo da una meno machista psicosi riguardo la morte e nevrosi sparse qua e là, condite con una notevole ironia. Ma il pessimismo chandleriano era determinato dalla grande depressione, era politico, anche se con una grossa componente di qualunquismo: il bravo, buon individuo contro il sistema, la politica corrotta, etc. C'era il dolore per la perdita dell'innocenza.

Qui, a essere politico è il disincantato spasso, per questo mondo di cialtroni - più o meno elegantemente vestiti -, in cui viviamo tutti. E al quale il nostro protagonista continua a dire il fatto suo, senza badare alle conseguenze. D'altra parte, più in basso che a scrivere necrologi crede di non poter finire.

Tutti i topoi del genere sono rispettati: c'è l'eroe, la femme fatale, i delitti, ma è come se tutto fosse in sedicesimo. La femme fatale è in realtà un'ochetta da MTV, e anche il male, non è mai grandioso, bensì, piccolo e meschino, inconsistenti le motivazioni e i moventi: d'altro canto, ogni tempo ha le vamp e i cattivi che si merita. Quindi si ride, per battute come "andiamo a commettere giornalismo!", ma d'altra parte si soffre un po' di nostalgia per quei chiaroscuri forti, che la grettezza dei nostri tempi ci restituisce così sbiaditi. Il personaggio principale mantiene la linea di galleggiamento della credibilità - anche se non si riesce a capire come si possa psicologicamente conciliare il vivace spirito del nostro Jack Tagger con anni di mobbing - e riesce a risolvere il caso, con un happy end davvero un po' stucchevole e holliwoodiano. Nel percorso, però, uno si diverte, e questo non è poco.

   Se doveste scegliere tra Carl Hiaasen e Derek Raymond, leggete Raymond, altrimenti va anche bene questo Crocodile Rock.

Tanto, se non lo leggerete, lo potrete vedere tra non molto, probabilmente, al cinema.

 

Ferdinando Manzo