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IL PIANISTA

 

Il Pianista

Regia: Roman Polanski

Interpreti: Adrien Brody, Emilia Fox, Ed Stoppard, Frank Finlay, Thomas Kretschmann

Tratto dal libro di Wladyslaw Szpilman

Sceneggiatura:Ronald Harwood

Scenografia: Allan Starski

Fotografia: Pawel Edelman

Costumi: Anna Sheppard

Musiche: Wojciech Kilar

Montaggio: Herve De Luze

Produzione: Roman Polanski, Alain Sarde

Distribuzione: 01 Distribution

Paese: Francia  Anno: 2002

Sito ufficiale:  www.thepianist-themovie.com

Il Pianista di Polanski: la parabola dell’artista che si trasforma in uomo comune, violentato dalla presuntuosità del male.

La ferocia della guerra è la brutalità eterna dell’uomo e della storia circolare. È la volgarità, la codardia e lo squallore che straripa dalla quotidianità.

La quotidianità con i suoi insetti sotterranei è il giardino rigoglioso da cui l’uomo-artista cerca di sottrarsi, ma con cui è in ogni caso destinato a fare i conti nel momento in cui l’esterno si autorizza ad invadere l’interno di ognuno.

La prima scena mostra il pianista Szpilman che continua ad inseguire i propri circuiti sonori mentre all’esterno le bombe sgretolano la Polonia. È il 1939 quando nella stazione radio di Varsavia i tecnici fuggono davanti all’incedere della vita esterna, armata ed insaziabile, e Szpilman continua a leggere Chopin sul proprio piano.

Gli uomini fuggono, Szpilman resta: qui sta la differenza. Fino a che il mondo là fuori non diventa talmente armato ed irruento da invadere ogni spazio e imporre il proprio gioco.

È il 1939 e il pianista è costretto a cominciare la sua vita da insetto operaio, in un gioco di fatalità sfiorate, putrefazione, stanze chiuse dall’esterno e macerie promosse a gusci esistenziali.

Un gioco di metamorfosi dell’umanità, dell’architettura, dei ruoli: la vita impone il proprio gioco, il conflitto, lo scontro, la convivenza con la morte.

Polanski riesce a rendere memorabile sempre l’ultima immagine impressa sul rullo, cosicché l’ultima nella memoria è quella sulle mani del musicista nei titoli di coda: le mani del pianista, il mezzo materiale di congiunzione tra l’interno e l’esterno di Szpilman, l’uomo diventato scarafaggio nella Storia, e che torna ad essere Uomo alla fine della storia.

Con una splendida performance cinematografica e sonora il regista premia nel finale lo spettatore sopravissuto, superstite di un incubo che non concede nessuna certezza di risveglio, talmente folle e reale da essere in qualche modo vicino, in un salto di binari geografici e cronologici, alla visionarietà del Lynch (presidente della giuria a Cannes) di Velluto Blu (nessuno ha mai detto che Frank/Dennis Hopper è la migliore trasposizione di Hitler al cinema?). Ma il risveglio c’è, e Polanski è così impeccabile da renderlo dolcissimo ed essenziale.

Antonello Schioppa