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ALDO NOVE: La Più grande balena morta della Lombardia

(Einaudi, pp.182, € 12,50)                                             (Intervista all'autore)

 

Se fossi un critico serio e adulto con la barba sale e pepe, il completo gessato, la Jaguar in garage e pile di libri mai letti intorno al letto, parlerei male di Aldo Nove. Gli stroncherei tutti i romanzi, i racconti, le poesie in blocco o a dispense, lanciando così un’originale collana di stroncature da acquistare quindicinalmente in edicola e da raccogliere alla fine in un’elegante serie di volumi dal titolo Il Nove a pezzi. Poi chiamerei a casa la mia vittima nel cuore della notte e con un tono da critico serio, adulto, barba sale e pepe, completo gessato, Jaguar, etc. direi: «Antonello Tarcisio Satta Centanin, in arte Aldo 9, sei uno stronzo!» E scoppierei a piangere, davvero. Gli direi che in realtà i suoi libri mi piacciono tutti (Ok, Amore mio infinito un po’ meno), inclusa la raccolta di poesie Fuoco su Babilonia! (Crocetti Editore, 2003), compreso l’ultimo che io, non essendo un critico serio e adulto non posso fare a meno di consigliare a uomini, donne, omosex, grandi e piccini, ma soprattutto ad eterni bambini. Anche se A.T.S. Centanin (aka Aldo 9), nato a Varese il 12 luglio 1967 resta sempre uno stronzo, ci mancherebbe. Uno che sembra pacioso e alla mano, invece è una carogna quanto il suo amico Tiziano Scarpa. Esagero: forse di più. Uno che se provi a chiedergli di fare due chiacchere risponde: «Ho l’influenza». Se dici "intervista" fa: «Magari ci sentiamo più avanti, ti lascio la mia e-mail». E naturalmente l’e-mail è finta come il sorriso di un premier ossessionato dalla minaccia comunista e lui, cascasse il mondo, non si farà mai vivo con te. Forse perché si è laureato in filosofia morale con una tesi su Antonio Labriola. Forse perché è stato redattore della rivista Poesia, poi ospite del Maurizio Costanzo Show, adesso intervista passere da passerella per Max. Forse perché se uno gli si presenta davanti e non è Fernanda Lessa o non ha l’aria del critico serio con il gessato e la Jaguar pensa che non valga la pena sprecare tempo e vocaboli. Ma tutto questo non ha niente a che fare con La Più grande balena morta della Lombardia, stupefacente libro sullo stupore con foto di copertina bruttarella di Kazutomo Kawai ma dentro un gorgo pronto a risucchiarti dentro da pagina 3 a pagina 177. Niente, lo giuro: leggendolo ho scoperto che negli anni Settanta Viggiú era uguale a Salice Salentino (Le). A parte i cognomi, l’idioma e la toponomastica, d’accordo. Ma i Ricchi e Poveri, i Rockets, Donna Summer, Cicciolina, i giornalini sporchi e L’Uomo Ragno e il Corriere della paura dell’Editoriale Corno e l’enuresi notturno (o notturna) e i compagni delle elementari che sapevano il segreto della sborra...tutto uguale!

Il godimento nasce dalla forza di una scrittura che pesca odori, nomi, cose, animali, città, cantanti dal cilindro della memoria e inventa una nuova galassia comica e spaventosa al tempo stesso, abitata da apparizioni accecanti/attraenti.

"Io avevo visto Toni Negri al telegiornale e mia nonna ogni settimana me lo faceva vedere su Famiglia Cristiana e mi diceva che se non andavo a messa tutte le domeniche da grande diventavo il Toni Negri di Viggiú."

E: "Al telegiornale facevano vedere dei bambini che piangevano, oppure erano morti. Avevano la faccia piena di mosche e facevano schifo. Quelli vivi cercavano di succhiare le tette delle mamme."

Un critico serio e anche adulto scriverebbe che Aldo Nove (o 9, o A.T.S. Centanin) parla da anni delle solite cose che gli/ci gravitavano intorno nei Settanta e negli Ottanta. Chiuderebbe il caso citando Tommaso Ottonieri che una volta, uscendo alterato da un pub finto irlandese dove aveva fatto bisboccia con gli amici, ha detto: "Aldo Nove è lo scrittore più apprezzato da tutti coloro che lo amano". Poi, dopo essersi tolto un pelucchio sale e pepe dal colletto del gessato, consegnerebbe il pezzo in redazione e salterebbe sulla sua bellissima Jaguar verso nuove, pazze avventure.

Ma questo è più o meno l’atteggiamento della critica italiana con una trave nell’occhio e un pelucchio sul gessato. È lo specchio di chi persevera malignamente nel bollare l’immediatezza comunicativa come sottoprodotto. Io sostengo che, stronzaggine a parte, il 9 continua ad essere uno dei numeri più forti della nostra letteratura. So che è così, se è vero che nel suo lavoro il magazzino della memoria si impone come il luogo deputato della testimonianza e delle correlazioni tra passato e presente che possono diventare materiali di reinvenzione, dunque di depensamento. Se è vero altresì che "Gli adulti di questi millenni di vita umana non hanno gli strumenti per capire i problemi di un bambino".

 

Nino G. D’Attis