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CESARE BATTISTI: Avenida Revolucion

(Nuovi Mondi Media, pp. 210, € 13,50)

 

CESARE BATTISTI: Avenida Revolucion Per quanto possa sembrare strano, l’esistenza di un forte lettore non è mai priva di tardive sorprese. Hai un nome in testa, infinite volte ti sarai rigirato tra le mani i libri di uno scrittore X (che uno o più amici ti avranno pure suggerito) ma, chissà perché, hai puntualmente rimandato l’acquisto. Per farla breve, ho scoperto Cesare Battisti con questo romanzo apparso in Francia nel 2001 ed oggi finalmente disponibile nelle librerie italiane, impreziosito da un’introduzione firmata da Giuseppe Genna che consiglio vivamente di non saltare. Finito di leggerlo, alle 8:30 di un gelido mattino di fine novembre, in pigiama, ciabatte, cispe agli occhi, sigaretta tra le labbra, barba da fare, etc. mi sono precipitato a cercare una copia de L’orma rossa, pubblicato nella collana Vertigo della Einaudi nel 1999. Una sola idea in testa: recuperare rapidamente il tempo perduto, pur rimpiangendo lo smalto che il mio francese aveva una volta. Perché, maledizione, se fosse meno arrugginito oggi potrei affrontare senza problemi Le Cargo sentimental (Editions Joëlle Losfeld, 2003) e tutti gli altri libri di Battisti che nessuno ha ancora tradotto dal fritagnol (italiano-francese-spagnolo) alla (ex) lingua di Dante.

"Si stava svuotando. Lo sentiva dal borbottio delle viscere, che sembrava volessero liberarlo per sempre dal fardello di un’esistenza insignificante. Decise di opporre un minimo di resistenza, non se la sentiva di abbandonarsi del tutto. Qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio a tenersi dentro una piccola parte di sé. Di quell’unico passato che veramente si converte in futuro."

Avenida Revolucion è per me una rivelazione, un ‘roman dans le roman’ che ha lo stesso fascino allucinogeno dei Canti del caos di Antonio Moresco e de Le Straordinarie avventure di Pentothal scritte/disegnate da Andrea Pazienza, poi (la sparo grossa, lo so), il survival kit poetico che innervava un vecchio album di Roberto Vecchioni dal titolo Robinson – come salvarsi la vita. Storia di doppi, di identità scambiate, viaggio anomalo del grigio e metodico ragioniere milanese Antonio Casagrande nel cuore di tenebra del Messico e di un ambiguo altro da sé (Trombetta Luigi, salvato dalle acque in un camping eufemisticamente chiamato ‘La Esperanza’). Una deriva psichica, un grand-tour che include il miraggio estatico del sesso, il baratro della catastrofe individuale, gli strati della realtà che si accavallano al pari delle labirintiche zone di guerra multilivello dei videogames in un intreccio che non trascura una punta di acre satira in bilico tra tragico e burlesco. La scrittura: in un romanzo dove l’unica costante sembra la trasformazione, l’atto di scrivere diventa materia prima da esplorare, inesauribile fonte di risonanze recondite che sembrano partire proprio da un necessario sopralluogo sulle rovine dell’Io.

"Uno scrittore, dovrebbe innanzitutto guardarsi intorno prima di prendere la penna in mano. Solo imparando a vedere chiaro e a soffrire con gli altri si ha veramente qualcosa che vale la pena raccontare. Tutto il resto è solo merce da supermercato."

Parte lento, tanto che più che ai Kafka, Burroughs e Dick chiamati in causa sul risvolto di copertina, all’inizio viene da pensare ad Oblomov e a Fantozzi, ma a pagina 21 il trip comincia a montare di brutto e a quel punto occorre tenersi forte perché gli scossoni sono tanti, si corre il rischio di ribaltarsi o di fare sogni pazzeschi una volta spenta la luce. Potreste sognare i mille volti (tutti inquietanti) del sergente Gomez H., oppure stormi di karie che si raggruppano in un cielo gravido di minacce formando una mostruosa svastica da Panopticon. Potreste finire invischiati come niente in un muro di bozzoli di bombyx, farfalle con la testa grossa come una noce, oppure ritrovarvi circondati dai Nasi Forati. Incubi che conservano memoria cinematografica di Brazil e Fight Club, del Beineix di 37°2 Le matin (visione d’angoscia celata in un sogno d’amore). Io li ho avuti e ringrazio Battisti per avermeli offerti in un romanzo visionario e ribelle come pochi altri letti di recente. Un noir onirico che non nasconde la voglia di parlare di cose reali, di un’ansia eretta come un gigantesco muro messo lì a segnare il confine tra la certezza e il dubbio di essere vivi in un mondo di menzogne. Tijuana o Milano, il posto è lo stesso: miserie, illusioni, corpi in vendita e Polizia del Controllo non sono più materia esclusiva di un libro di fantascienza (qui semmai fantascienza sociale alla stregua del Pynchon de L’Arcobaleno della gravità, dell’Erickson di Arc d’X, del Wu Ming 5 di Havana glam). Lo sappiamo bene, narratori spudoratamente lontani da tanta asetticità autoriale come Battisti hanno il dono di rammentarcelo usando l’arma di un racconto che, come scriveva Artaud, "Riporta lo spirito alla fonte dei suoi conflitti".

 

Nino G. D’Attis

sul web: www.vialibre5.com

www.carmillaonline.com/carmillaold/scrivere_in_fuga.htm

www.miserabili.com/archives/005000.html