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MARIO DESIATI: Vita precaria e amore eterno (Mondadori, pp.217, € 15,00)

 

MARIO DESIATI: Vita precaria e amore eterno

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Martin Bux mi è arrivato addosso. È stato un attimo, giuro. Non l’avevo visto, proprio come non avevo visto, cretino e distratto come sono, la mano destra di Mario Desiati tesa per incontrare la mia in una sera di maggio al club Alpheus di Roma.

  «Ciao, io sono Mario.» Va bene, ora posso dirtelo: felicissimo di averti incontrato, mio giovane amico al secondo romanzo (il primo è Neppure quando è notte, Pequod 2003). E che romanzo, questa storia di Martin Bux, siciliano trapiantato a Roma dopo un’infanzia randagia a Castiglioni, paese nei pressi della base Nato di Sigonella sorto dal nulla dopo un terremoto.

   Martin, figlio di un ex cartolaio e di una donna che scrive lettere a gente famosa e defunta (la Monroe, Lady Diana tra gli altri). Precario, innamorato, idee sconnesse che gli vorticano in testa notte e giorno, lo sguardo sovente rivolto al cielo, il corpo avvolto dall’ombra familiare/minacciosa di un aereo.

   I velivoli del Patto Atlantico.

   I velivoli di Ustica e quelli del Cermis.

   L’apparecchio che porterà il tuo amore lontano, in Africa, nel continente nero.

   La vita di Martin è un assedio, un campo minato di delusioni, una fitta continua di insoddisfazione. È la vita agra di chi per sopravvivere morde e scalcia stringendosi caparbiamente al desiderio amoroso. Platonico, assoluto, incapace di sfaldarsi dopo una scopata occasionale con una bella senz’anima incrociata a Filosofia, dopo l’ennesimo turno in un call center uguale a tanti altri avvilenti parcheggi per precari.

  “Lavoriamo sottoterra. Una finestrina, impercettibile al mondo intero, ci collega con il resto della città. Da lì vediamo le gambe della gente, i cani che pisciano e le ruote delle moto. È l’unico spicchio di mondo a cui ci è consentito di assistere. Il resto dell’ufficio non fa testo, è tutto un open space. Una sorta di sistema solare con cerchi concentrici. Noi al centro”.

   Al centro non c’è niente, o almeno così dicono.

   Il centro è il purgatorio di chi è arrivato tardi per tutto, fa lo schiavo, non avrà diritto ad una pensione, ingoia cucchiaiate di merda spacciata per lavoro.

   La tua dignità, la tua intelligenza, le tue ambizioni vendute per pochi spiccioli l’ora.

   Non prega, Martin. La madre gli chiede allora di bestemmiare. Lo supplica, addirittura: «Allora bestemmia, ti scongiuro bestemmia». Perché nella parola blasfema c’è fede, c’è la preghiera di chi sta annegando tra i marosi e vorrebbe vivere, vincere la morte, essere migliore in mezzo a tanta disgregazione.

   Martin ama Toni, pensa a Toni, respira Toni per le strade di Roma, in un appartamento a San Lorenzo che è stato teatro di scherzi complici, carezze, baci, parole d’amore. Il nome di questa ragazza ce l’ha marchiato a fuoco sulla pelle, e di lei il lettore conoscerà tutto, anche l’odore. Perché il dono più grande di Desiati è la poesia, qualcosa di inesprimibile che riveste di morbida (e disperata) eco anche i passaggi più duri di un romanzo focalizzato sulle inquietudini pubbliche e private di questi anni.

   Siamo a pezzi. Siamo alla deriva. Siamo senza amore: ecco cosa dicono i poeti come Desiati quando scrivono storie come questa. Vicende di profondo disagio, di persone schiacciate da problemi personali e pressioni sociali.

   Nelle pagine di Vita precaria e amore eterno c’è il sangue di un’Italia azzerata culturalmente, avvilita e avvelenata, ridicolmente xenofoba, trascinata nelle guerre, sconnessa e agitata sia che inneggi alla Pace sia che si ritrovi in piazza urlando «Dux, mea lux!» Il paese dei facili (e dannosi) fraintendimenti. La nazione che muore per autoprocurata deficienza e in questa morte trascura la poesia di uno sguardo, di un abbraccio, di due corpi e due anime in comunione eterna.  

   Una sagoma, Martin Bux: lo senti sfottere i senegalesi e avresti voglia di dargli un sacco di botte. Lo trovi rozzo, ignorante e spocchioso, polemico e disfattista anche nelle piccole cose quotidiane. Poi ti conquista con la fragilità di chi è già andato amaramente in frantumi e adesso cammina tra noi, ci incrocia di sera all’uscita di uno di questi posti per fighetti a San Lorenzo oppure al piano rialzato di quell’edicola dalle parti di Piazza Fiume (settore porno: ci trovi le migliori imprese di Rocco Siffredi).

   Martin Bux, segnatevi questo nome e leggete questa storia struggente (neanche tanto) ai confini della realtà.

 

(N.G.D’A.)