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MICHAEL MOORE: Stupid white men (Mondadori, pp. 312, € 14,00; Traduzione di Edoardo Brugnatelli e Matteo Colombo)

 

MICHAEL MOORE: Stupid white men L'11 Settembre 2001, narra l'introduzione, il libro di Michael Moore Stupid white men avrebbe dovuto essere pubblicato negli Stati Uniti; naturalmente l'argomento e i toni lo resero un prodotto poco desiderabile nell'ondata di patriottismo successiva agli attentati, e per un paio di mesi gli fu imposta la censura (o meglio, il cordiale ordine di rivedere qualche passo); finché, a quanto pare, l'impegno telematico di un gruppo di ammiratori pro free talking non ha forzato con centinaia di e-mail la casa editrice americana HarperCollins a restituire al popolo la verità, a Moore le sue 50.000 copie vendute in un giorno e il suo primo posto in classifica. Niente male per lo sfogo arrabbiato di un regista di documentari, che quest' anno vince anche un Oscar alla cerimonia più nera della storia e non si spaventa a prendersela davanti a tutti contro il fellow President dei cittadini americani.
Non di tutti i cittadini. Forse ce lo aspettavamo già, ma per esempio non mi era mai giunta la voce che l'uomo che dichiarò per primo in tv la vittoria di Bush junior senza aspettare i risultati ufficiali, lo speakerman di Fox News Channel, guarda in po' si chiamasse Bush anche lui, e fosse suo cugino. Una combinazione? Scorrendo le pagine, e arrivati alla presentazione dell'eccellente staff della Casa Bianca, scopriamo altre cose interessanti: per esempio che l'attuale vicepresidente Dick Cheney negli anni '80 intratteneva rapporti economici con Saddam Hussein, o che il Segretario della Difesa Donald Rumsfield era già grande amico di Nixon, e suo consigliere. Buon curriculum.
   Non crediate vi stia svelando tutte le sorprese del bel lavoro di Moore. Le 260 pagine di politica da mettersi le mani nei capelli straripano di aneddoti, dati inediti o volutamente messi in ombra, curiosità, c'è solo l' imbarazzo della scelta. Corruzione, conflitti di interessi, malasanità e calci nel sedere sono concetti ben radicati nella coscienza civica del popolo italiano, l'appartenenza al quale ci dà oggi buoni motivi di vergognarci all'estero. Ma per fortuna ci sono momenti in cui possiamo andare fieri di limitarci a fare i pagliaccetti d'Europa nello scacchiere internazionale, senza che nessuno ci ascolti nelle nostre follie neroniane o voltafaccia da Ponzio Pilato e senza avere il potere di decidere da che parte far girare il mondo, potere invece saldamente impugnato dal piccolo W, come lo chiama affettuosamente Moore (altre volte, intraducibile in italiano, "son of a Bush".), il quale tanto per dirne una, pare fosse cocainomane negli anni '70, prima di andare a decidere chi giustiziare in Texas.

   Proseguiamo il viaggio nella grande America con arsenico nell'acqua dei rubinetti, ragazzini neri messi in galera perché nati lo stesso giorno di ricercati (proprio così, diverso nome, diverse impronte digitali: ma stesso compleanno. Anche a me piace l'astrologia), tasso culturale medio dei laureandi ad Harvard che non sanno quando c'era nel loro paese la Guerra civile. E qui mi fermo un po' sgomenta e pessimista riguardo al progresso della razza umana, e vi consiglio di comprare e leggere. Intendiamoci, il libro di Moore non è né un “great book", come si staglia sulla copertina, tantomeno "savegely hilarious" come lo definisce l' Irish time. Non è il talento di Moore, piuttosto i fatti che racconta, che meritano di essere almeno per una volta scorti di sfuggita, con la mano contro gli occhi e pensando "anche questo, non lo voglio credere".

   Letterariamente parlando, l'opera di questo simpatico grassone è povera, troppo autocelebrativa in certi punti ("i bianchi sono cattivi, ma io no: io assumo solo neri", o cose simili), troppo offensivamente carente in altri (perché mai la soluzione al problema mediorentale viene discussa semi seriamente e con rispetto, e solo una pagina dopo ai protestanti dell'Ulster viene consigliato di diventare cattolici, per risolvere i conflitti e perché si scopa di piu'?), superficiale nel trattare costruttivamente il tema minoranze (donne e neri). E quasi viene da chiedersi come quest' esemplare qualunque di uomo bianco sia riuscito a scalare la vetta dei best seller, anche con le sue battute che ogni tanto non fanno proprio ridere, armato solo di buona volontà ed evidente pazienza nella ricerca del materiale. Consegnandoci tuttavia un libro interessante, e che siamo contenti di vedere pubblicato. Ragazzi, anche questa è l'America.

 

Valentina Soluri