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ROBERTO ARLT: I Sette pazzi

(Edizioni E/O, pp. 302, € 16,00; traduzione di Luigi Pellisari)

 

ROBERTO ARLT: I Sette pazziDevo la scoperta di questo romanzo e dello scrittore Roberto Arlt a un interessante articolo di Raul Schenardi apparso sulla rivista Pulp (n. 42, marzo/aprile 2003). Credo che a colpire particolarmente la mia attenzione sia stato il modo in cui Schenardi ha posto l’accento sulle caratteristiche più forti della scrittura di Arlt: l’uso del lunfardo, il gergo malavitoso di Buenos Aires, l’onesta disposizione a vivere il mestiere di scrittore come un pugile piuttosto che da pelouche salottiero, la presenza nell’edificio stilistico di anticorpi rafforzati da una cultura ‘bassa’ (frutto di letture che spaziano da Salgari agli scrittori russi), infine la consapevolezza di poter costruire storie combinando elementi che arrivano da altre storie, magari anche da classici come I Demoni di Dostoevskij.

Roberto Godofredo Christophersen Arlt, questo il nome per intero, nacque a Buenos Aires il 2 aprile del 1900 e morì nella stessa città quarantadue anni più tardi, in seguito a un attacco cardiaco. Figlio di povera gente (padre prussiano, madre italiana) fu giornalista per il quotidiano El Mundo, narratore e anche inventore dopo una giovinezza trascorsa tra lavori umili e un matrimonio a vent’anni con una donna la cui dote servirà a finanziare i suoi brevetti a scarso valore commerciale. Arlt vantava amicizie tra ladri, puttane e perdigiorno, viaggiò come inviato tra Brasile, Cile, Spagna e Africa traendo spunti per i racconti dell’ultima raccolta El Criador de gorilas, fondò la società ARNA insieme all’attore Pascual Naccaratti per investire in una serie di ricerche in campo chimico. La sua fortuna presso il pubblico cominciò con la rubrica Aguafuertes porteñas (dal 1928 al 1935 su El Mundo, quindi riunite in un volume dallo stesso titolo), sorta di diario dalle strade della città di Buenos Aires occupato da facce e vicende comuni colte in presa diretta: "(...) l’uomo comune, il piccolo e piccolissimo borghese delle strade di Buenos Aires, l’impiegatuccio, il proprietario di un negozietto da due soldi, vi potevano leggere i loro pensieri, le loro tristezze, le pallide illusioni, colte ed espresse nel loro linguaggio quotidiano." scrive Juan Carlos Onetti nel Profilo di Roberto Arlt in appendice al libro. Onetti, che conobbe lo scrittore da vicino, ci dice anche che "Il tema di Arlt è quello dell’uomo disperato". Così, conscio del fatto che malgrado ogni progresso, l’uomo continuerà sempre a covare un seme di primitiva asprezza nel suo cuore, Arlt si serve del paradossale, del grottesco, del teosofico per raccontare tale disperazione attingendo alla dimensione irrazionale della modernità non meno del Carmelo Bene di Nostra Signora dei turchi e Credito italiano V.E.R.D.I.

I Sette pazzi, pubblicato nel 1929 (tre anni dopo l’esordio letterario con Il Giocattolo rabbioso) è la prima parte di un dittico che si conclude con I Lanciafiamme e mette in scena la vicenda di Remo Erdosain, personaggio singolare e tragico, inetto quanto lo Zeno Cosini di Svevo e come questi capace di dire al lettore tutto ciò che altri, più eroici protagonisti non osano. Erdosain è una figura di incosciente disgustato da se stesso, il ritratto di un melanconico onanista colto nell’atto di trascinarsi nel fango della realtà materiale alla ricerca del substrato fantastico, di qualcosa che possa portarlo fuori dall’ordinario. Egli è l’uomo-bambino che pensa alla necessità di innestare della gioia nella vita perché "Non si può vivere così. Non lo si deve fare." Ladro di seicento pesos e sette centesimi sottratti con un raggiro allo zuccherificio nel quale lavorava come esattore, abbandonato dalla consorte, tradito dal folle cugino della moglie Gregorio Barsut, fonda una scombinata quanto ambiziosa società segreta con il progetto di realizzare una serie di trasformazioni sociali su larga scala dopo aver rapito e ucciso Barsut e raccolto ulteriori fondi attraverso un giro di case di tolleranza. La sua vertiginosa discesa è in atto già dalle prime righe del romanzo: "Mentre apriva la porta della direzione, adorna di vetrate giapponesi, Erdosain desiderò tornare indietro. Capì di essere perduto ma ormai era troppo tardi." Un avvio da noir per l’innesco di una folle spirale verso l’illecito e l’ineluttabile (curioso come, leggendolo, mi siano tornate in mente le immagini de L’Uomo che non c’era dei fratelli Coen), poi per la presenza di figure di complici come l’Astrologo, il Ruffiano Malinconico, l’ebreo Bromberg e degli altri affiliati alla congrega di cospiratori incerti tra ideologia bolscevica e ideologia fascista ma lucidamente convinti che "le città sono come le prostitute, innamorate dei loro ruffiani e dei loro banditi" e che la storia futura non potrà che essere dominata dai re del petrolio, dell’acciaio, del grano, regolata sulla produzione e sul consumo. Perché l’uomo, per dirla con le parole dell’Astrologo, "è una bestia triste che riuscirà a emozionarsi solo per dei veri prodigi. O per dei massacri."

 

Nino G. D’Attis